Narrare

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venerdì 20 marzo 2009

Cosa c'è, se c'è, oltre l'Universo?

Una spiegazione teologica sarebbe la più semplice: il “tutto” è stato creato da Dio che E’ l’Essere che E’ per antonomasia, al di fuori del tempo e dello spazio in un eterno presente, infinito ed immutabile. L’ essere è, il non-essere non è, scrive Parmenide negando il nulla, in quanto non essere; quindi esiste solo l’essere infinito ed immutabile.Resta da spiegare il divenire, o quello che ci appare come divenire, ossia lo scorrere del tempo e la trasformazione delle cose, incompatibile con la staticità dell’essere, poiché presuppone un passaggio dall’essere al non essere, come ad esempio la morte.Anche Platone si era posto il problema e, in contrasto con Parmenide, fa un distinguo, infatti le idee nell’ iperuranio sono immutabili e quindi eterne, mentre il mondo delle cose, semplificando e forzando un po’ un‘ espressione moderna, è un ologramma sfuocato dell’iperuranio, materializzato dal Demiurgo, che non è un creatore, ma è la forza ordinatrice.
Dunque un Dio, essendo immutabile, non potrebbe intervenire nel mondo reale in perpetuo fieri, ma osserviamo che tutte le principali religioni fondano il loro credo sull’ intervento di Dio, sia nella creazione del cosmo che nella nostra vita di tutti i giorni.
Dogmaticamente si ammette che Dio è infinito ed immutabile, ma anche potentissimo.”Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare” (Dante inf. III e V canto)
Non mi piacciono i dogmi e, a rischio di andare all’inferno, io continuo a “dimandare”.
Le attuali teorie cosmologiche, che cercano di conciliare la meccanica quantistica e la relatività generale, spiegano l'origine dell'universo come una fluttuazione dallo stato di vuoto.
La fluttuazione ha prodotto la singolarità che esplodendo, il Big Bang, porta all’espansione dell’Universo quindi, dopo miliardi di anni, alla nascita del sistema solare.
Con la teoria dell’evoluzione si spiega la comparsa della vita e dell' uomo sulla Terra. Come dire : ex nihilo omnia.Il “tutto “ è nato dal “Nulla” per una casuale fluttuazione del vuoto.
Dunque un percorso logico, scientifico e perfettamente ateo.Problema risolto? Assolutamente no.
Il Nulla è l’ossessione e l’incubo del pensiero filosofico, da Aristotele a Plotino ad Agostino, a Cusano ad Hegel, ad Heidegger, a Sartre, a Kierkegaard che scrive: La disperazione è il terrore del vuoto, del non essere altro che niente.”,Leonardo da Vinci: "Infralle cose grandi che fra noi si trovano, l'essere del nulla è grandissima"(codice Atlantico) e Leopardi: "In somma, il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla".(Zibaldone).
Un po’ tutti i filosofi, per un verso o per un altro,si sono posti il problema del nulla.
Anche la scienza moderna, continua ad interrogarsi sull'esistenza e su cosa sia il "nulla", per due motivi: perché il pensiero scientifico è connesso al pensiero filosofico e perché per comprendere il mondo fisico è necessario conoscere le proprietà del vuoto.
Il vuoto quantistico non è affatto vuoto, infatti per il principio di indeterminazione di Heisenberg, è un oceano in continua agitazione, in cui avviene che particelle e antiparticelle nascano ed annichiliscano immediatamente. E’ un vuoto ”mediamente vuoto”, ma non è il “nihil”.
Quindi l’universo, non è nato dal “Nulla” ma da qualcosa che esisteva già nel “vuoto” quantistico.
Ma perché “esiste” questo vuoto ”mediamente vuoto”?
Ubi veritas?
Quaeritur!

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giovedì 19 marzo 2009

Anni ’80. Dalla Versilia al golfo di Baratti sulla costa degli Etruschi.


              Il dualismo della vita, oscillante tra gli arché del bene e del male, tra vette agognanti il cielo e terribili deserti, tra dotta conoscenza e luoghi comuni, tra spirito e materia, tra poesia e prosa, tra razionale ed irrazionale, ha tracciato, in questi mari, con mano tremolante, la rotta dell’incerto navigare dell’esistenza. “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, quando il corpo biologico riesce ad esprimere, nella sua interezza, la spavalda volontà di potenza della mente, un manager, superrazionale, supertecnologico, assertore del tutto previsto e calcolato, un meccanismo praticamente perfetto, è convinto di eludere questa tentennante logica manichea.
Versilia

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Un lavoro durissimo per cinque giorni alla settimana, poi due giorni di relax, nei quali concentrare tutta la sua vita privata di scapolo impenitente.

Non gli era oltremodo difficile trovare, per il fine settimana, qualche ragazza disposta a viaggiare in macchina sportiva, ad andare nei migliori alberghi, nei ristoranti ai primi posti della guida Veronelli e nei più famosi locali notturni, una vita che, allora, gli sembrava il massimo.

            Una volta gli andò buca, non che gliene fosse importato più di tanto, ma fu il giorno in cui crollò il mito del superuomo e si decise il suo futuro per sempre.

          Voleva mettere in atto il piano B, ossia cena frugale in casa, con grande sollievo per il suo fegato, musica classica e sprofondarsi nella sua poltrona preferita con un buon libro, quando incontrò un amico che, nel vederlo, non riuscì a nascondere un sorriso ironico. Se sei qui vuol dire che, stasera, non hai niente da fare, dammi una mano, viene la mia ragazza, ma con un’amica allora capisci…. Gli ricordò, maliziosamente, alcuni suoi favori e non poté rifiutare.


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Nella luce soffusa, di un piccolo ed esclusivo pianobar di un lussuoso hotel, affacciato sul mare, le note di “September morn” si diffondevano languide e un po’ melanconiche in un’atmosfera ideale per innamorati. Volgendo lo sguardo vide l’amico con le due ragazze. Bionda, capelli lunghi, fluenti sulle spalle, un bel viso con un sorriso un po’ enigmatico, un’eleganza sobria, non appariscente, un’ottima cultura ed educazione, promettevano una piacevole serata.
Conversarono a lungo, ma avvertiva in lei un certo distacco nei suoi confronti, tanto che il saluto finale fu un quasi glaciale ciao.
          Nei giorni a seguire si sorprese, sempre più spesso, a pensare a lei, finché decise di rivederla, ma come fare? Non avrebbe accettato, da lui, un invito per una cenetta tête à tête, gli aveva, con una scusa, perfino rifiutato il suo numero telefonico.
                 Erano alcuni anni che non organizzava una festa, così comunicò la sua intenzione, alla “tata”, una cara signora, che l’aveva visto da piccolo e che continuava a curare la casa, anche dopo la scomparsa dei suoi genitori. 
                  
            Lo guardò e sorrise. Una ragazza vero?… Era l’ora che tu mettessi la testa a posto, soggiunse.

           Era un’artista per queste cose ed organizzò un cena perfetta, apparecchiando la tavola in maniera superba. Ogni dettaglio era stato curato nei minimi particolari. Per segnaposto le signore avevano una rosa tea gialla, ma per lei una rosa rossa.
Avendo capito il genere di musica che le piaceva, registrò un nastro ad hoc, insomma tutto previsto e calcolato, come sua abitudine. Così almeno credeva e con l’animo diviso fra timore e speranza, si apprestò a ricevere gli invitati.

           La festa riuscì bene, anzi benissimo, per gli amici, mangiare e bere a sbafo fa sempre piacere e mette di buonumore. Due non si divertirono: lei e lui. Nonostante la bella musica e l’allegria degli amici, non riuscì a rompere il ghiaccio, era palesemente impacciato, una situazione per lui nuova, che sfuggiva al suo controllo. Andando via, lei non prese neanche la rosa, insomma, una disfatta su tutta la linea. Il suo io razionale gli suggeriva di lasciar perdere, non ne valeva la pena, c’erano tante donne al mondo ma, rinunciare così, assomigliava troppo alla storia della volpe a proposito di una certa uva.
           Cercò di capire cosa gli stesse succedendo: possibile, si chiese, che tutta la sua razionalità e la sua sicurezza, fossero scomparse di colpo? Giunse all’unica conclusione plausibile, la sua parte d’irrazionalità si stava prendendo una grossa rivincita e dovette ammettere con se stesso, che, malgrado i suoi trentacinque anni, era innamorato, innamorato cotto e, per giunta, non corrisposto.
           Aveva bisogno di un periodo di riflessione per cercare di riprendere un certo equilibrio. Fece felice il grande capo andando dove nessuno voleva andare, in certi noiosi paesi arabi a visitare ricchi clienti altrettanto noiosi. Dopo quindici giorni, non ne poteva più, soprattutto della cucina che gli chefs, orgogliosamente e pomposamente, chiamavano internazionale, cioè una vera schifezza. Il tarlo, che lo rodeva dentro, non accennava a placarsi, anzi il desiderio di rientrare e rivederla aumentava sempre più.
               In ufficio era veramente insopportabile al punto che, una sua collega, gli chiese cosa avesse. Era la sua più stretta collaboratrice, una ragazza con un viso passabile ed il resto nascosto da abiti lunghi e larghi, scarpe in terra, insomma un po’ scialba ed insignificante ma, d’altronde, quel che contava era la sua efficienza sul lavoro.
              Una volta si era sfogata con lui, quando il suo ragazzo l’aveva lasciata, memore di questo fatto, le confidò le sue ansie e seguì i suoi consigli. Gravissimo errore, mai fidarsi delle donne in questo campo.
             La cosa che ingelosisce e stuzzica una donna, sentenziò, è vedere un suo corteggiatore uscire con un’altra, fai in modo che accada, in fondo cosa hai da perdere e soggiunse peggio di così…. e sorridendo ironicamente disse tra sé, non credevo che avesse anche un cuore.
                Bene pensò, la ragazza è la persona adatta, conosce la situazione, non è molto appariscente e quindi più credibile. Così telefonò all’ amico, che l’aveva messo nei “guai” pregandolo di organizzare un incontro.
              Dopo qualche giorno, lo chiamò dicendo di aver prenotato per un sabato, in un notissimo locale della Versilia, due tavoli ed aggiunse, ridacchiando, naturalmente il conto, questa volta, lo paghi tutto tu.
              La sera stabilita passò a prendere la collega, poco convinto ed anche pentito per la sceneggiata che si apprestavano a fare, temeva il “peggio” ma non sapeva quanto sarebbe stato "peggio”.Quando la vide rimase letteralmente sbalordito, quello che aveva sempre creduto un brutto anatroccolo era invece un cigno, abito da sera corto, generosa scollatura, tacchi altissimi, trucco e messa in piega che tradivano le svariate ore passate dal coiffeur. Con l’aria più innocente di questo mondo, facendo un giro su se stessa, gli chiese: “come mi sta il vestito?” Una serie di campanelli d’allarme risuonarono nella sua testa ma, ormai, era troppo tardi.
                La serata iniziò nei peggiori dei modi, si ritrovarono tutti insieme, ma lei non era sola, dopo un saluto di convenienza, ognuno si sedette al proprio tavolo.
               Inutilmente si ripeteva che, essendoci meno che niente fra loro, lei era liberissima di fare quello che voleva, ma vederla in compagnia di un altro, gli dava fastidio e non poco.
              I loro sguardi si erano incrociati più volte e lei, si interrogò, su quell’uomo, certamente interessante, che le faceva una corte discreta quanto insistente, ed ammise con sé stessa che non le era del tutto indifferente, ma le faceva un po’ paura, non voleva finire sulla sua agenda di lavoro, mescolata agli altri impegni, magari in coda a quella moretta.
             La giovane collega che, in cuor suo, si divertiva moltissimo a vederlo imbarazzato, pensò che se doveva fare la parte, ebbene, l’avrebbe fatta fino in fondo e non sarebbe stato male togliersi qualche sassolino dalla scarpa, per certe sue osservazioni sul lavoro, che non aveva ancora digerito.
            Quando si attenuarono le luci e l’orchestra iniziò a suonare quella musica attesa dalle coppie innamorate, si alzò e lo sospinse a ballare. Con aria falsamente seria cominciò a dirgli:” quanto ti devo stare vicina? Va bene così o di più? Ti devo appoggiare la testa sulla spalla? O forse è meglio che ti accarezzi la nuca?“
Era decisamente troppo.

            Da quel giorno fece la cosa migliore: snobbò tutti e si dedicò interamente al lavoro. Pensava, a malincuore, di dover archiviare l’episodio ed invece si sbagliava.
           Una sera, la dolce melodia della Rapsodia in Blu di Gershwin, fu interrotta dal trillo stonato del telefono, rispose piuttosto seccamente, ma... era lei che, con voce molto imbarazzata, gli disse:”sei l’unico che sia riuscita a rintracciare.” Si trovava, con la macchina in panne, in un’area di servizio, sull’ autostrada della Cisa.
             Il primo impulso fu quello di dirle:”chiama il carro attrezzi” ed invece le chiese “ma il tuo fidanzato non è reperibile?” Risata: “ma non sono fidanzata, sei tu che sei fidanzato!” “Io? Io no.” “ E quella moretta allora?”
           Non aveva una spiegazione plausibile da darle e non poteva certo dire la verità, così tagliò corto: nel giro di un’ora sono da te. Frustò a sangue i 260 cavalli del porsche e ci arrivò in 40 minuti, erano tempi in cui l’Italia era ancora un paese libero, niente sgherri di sindaci assetati di soldi dietro i cespugli, pronti a impallinarti con l’autovelox, nessuna telecamera per ficcare il naso nella tua vita. Il “Grande Fratello” doveva ancora nascere.
            Durante il tragitto, verso casa sua, lasciò che i cavalli della macchina si riposassero e si prese un po’ di tempo in più, il caso gli aveva dato una prova di appello e non voleva sprecarla. Così chiacchierando del più e del meno, ma con il cuore in fermento, ebbe la netta sensazione che il ghiaccio si stesse sciogliendo, infatti, al momento di salutarsi, lei gli dette un fuggevole bacetto sulla guancia, non era niente, ma gli provocò una scarica di adrenalina e lo indusse a sperare.
            Si rividero spesso ma lasciò che il tempo lavorasse per lui, capì che lei non cercava l’esteriorità che poteva offrirle e della quale, fra l’altro, non aveva affatto bisogno, cercava l’amore e voleva avere la certezza che fosse vero amore.
Una noiosa giornata estiva, diventò il “loro” giorno.

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Stanco di bivaccare sui lettini di un supersofisticato stabilimento balneare versiliese, infastidito da signore imbellettate ed imbalsamate, con mariti o amanti, più o meno commenda, sproloquianti sulle loro lucrose attività, in pratica dei parvenues, lanciò l’idea di passare la giornata in una spiaggia libera.
           L’accettare, con entusiasmo, di passare una giornata da sola con lui, le fece capire che le sue difese stavano lentamente cedendo, lo guardò con altri occhi e si chiese se fosse veramente l’uomo della sua vita, se fosse l’amore che cercava.
           Decisero per lo splendido golfo di Baratti sulla costa degli Etruschi tra Populonia e S.Vincenzo, in provincia di Livorno. In quei tempi, era poco frequentato, privo di comodità, ma con tranquille calette, una della quali li accolse.

          Davanti ai loro occhi, in un cielo azzurro screziato da bianchi cirri, si ergeva, antica sentinella, la rocca medioevale di Populonia, sovrastante un promontorio a picco su un mare blu intenso, un vero e proprio invito a tuffarsi nelle sue onde.
 

             L’acqua, scintillante per i raggi del sole, era così cristallina, che si azzardarono a gustare dei frutti di mare, raccolti lì per lì.
            Avevano, come per un tacito accordo, evitato di parlare di loro, una vacanza da tutto e da tutti, liberi da condizionamenti, godevano di quello che la natura offriva e così, tra un tuffo e l’altro, la giornata scorse via felice e spensierata.

           Sul tardo pomeriggio sentirono la necessità di fare una doccia, ma dove andare? La soluzione più ovvia era un albergo, che conosceva, a pochi minuti da lì o, in alternativa, a casa sua, ad una cinquantina di minuti.
         Non volendo sciupare la giornata e il rapporto, pazientemente costruito in quei mesi, con delle proposte, logiche quanto vuoi, ma male interpretabili, le disse: devi avere pazienza, per arrivare a casa tua, ci sono circa tre ore di macchina.
           Lanciandogli un’occhiata, che quasi certamente significava “o ci sei o ci fai”, rispose: perché, a casa tua no? Si meravigliò lei stessa di questa risposta, che le era uscita spontanea, quasi senza accorgersene e, durante il tragitto, si sorprese a pensare come sarebbe cambiata la sua vita.
           Entrando, in casa, lui si rese conto di quanto questa fosse triste e fredda, da tempo la gioia e l’allegria erano scomparse. Spalancò tutte le finestre, per fare entrare quanta più luce possibile, e giurò a se stesso di cambiare vita.
          Quel giorno conobbe l’amore, capì cosa fosse l’amore, niente a che vedere con l’amore da weekend, che il lunedì si dissolve nel vuoto, ma quello vero, il corpo e l’ anima di un uomo e di una donna che si fondono, con gioia immensa, in un tutt’ uno, in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio: la grande rivincita dell’irrazionale sul razionale.
          Lei era entrata non solo nella sua casa e nella sua vita ma, soprattutto, dentro di lui e da quel giorno non ne è più uscita.
         Trascorsero dei mesi felicissimi. La sua casa, finalmente, risplendeva di luce e di gioia, come da molti anni non accadeva. Partirono per una lunga vacanza e, al ritorno, decisero di sposarsi, per fare felici i genitori di lei, ma non c’era alcuna necessità di farlo, non interessava loro firmare uno stupido contratto per sancire, per legge, quello che nessuna legge potrà mai imbrigliare: i sentimenti. Se qualcuno avesse domandato loro la data del matrimonio, avrebbero dovuto pensarci prima di rispondere ricordavano, come anniversario, quel giorno felice sugli scogli di Baratti.

Il fiore che non voleva sbocciare.

          Un matrimonio unico nel suo genere: lo parteciparono solo ai pochi familiari stretti e, ovviamente, ai testimoni, esonerando tutti dal fare regali. La cerimonia,di pomeriggio, fu brevissima e si concluse con un doveroso cocktail di scuse per gli intervenuti.

           Nessun viaggio di nozze perché erano appena tornati dalla “loro” vera luna di miele, insomma tutto solo per i figli.  Questo era il motivo per cui si erano sposati.
             Già i figli. Ma quali figli? Mese dopo mese, anno dopo anno: niente, niente di niente. 
           Era l’unica zona d’ombra nella loro vita, sorprendeva spesso sua moglie con gli occhi umidi di pianto e gli si stringeva il cuore.
            Si sottoposero a numerose visite mediche, anche umilianti, ma la risposta era sempre la stessa: non ci sono motivi per cui non possiate avere figli. E allora perché neanche un bambino?
             Dopo otto anni si era rassegnato e così pensava di sua moglie, ma una mattina lo chiamò al telefono in ufficio, eccitatissima gli grida:" Aspetto un bambino! Aspetto un bambino!" e soggiunse "E' stato il Papa."

            Non le credette e si lasciò sfuggire un battuta di pessimo gusto:" E’ stato il Papa? Non male come amante." “Più veloce della luce” gli arrivò una pesante considerazione sul numero e sulla qualità dei suoi neuroni e gli sbatté giù il telefono. Chiamò la suocera che gli confermò: "Si è vero, analisi e controanalisi" e aggiunse, con voce serafica: "finalmente ce l’hai fatta". Le sue parole assomigliavano molto ad un insulto, ma era un bel giorno e rinunciò a spiegarle quale fosse il suo pensiero sulle suocere, sicuramente non sarebbe mancata l’occasione. Felice, come non mai, con l’animo in subbuglio, fece recapitare a casa un mazzo di rose, comprò una bottiglia di champagne e volò da lei.

             Una cosa non gli era chiara: il ruolo del Papa. Poi si ricordò che, circa due mesi prima, era venuto nella loro città e sua moglie era andata a vederlo. Sicuramente, pensò, gli avrà chiesto la grazia di avere un bambino.

            Non credeva ai miracoli, però la coincidenza era strana e sua moglie divulgò questo episodio ad amici e conoscenti.

            A casa trovò a festeggiare la suocera, la cognata e l’immancabile tata. Aprì la bottiglia e fece per offrirne un bicchiere alla moglie: "Ma che fai? Sei impazzito?" Gli urlarono dietro: "Non sai che l’alcool fa male ai bambini…….."

           In quel momento gli fu chiaro cosa lo aspettasse negli otto mesi successivi.

           Fecero la felicità di tutti i laboratori di analisi della città e dintorni. Sua moglie, sempre intenta a leggere pacchi di riviste mediche sull’argomento, scoprì che esisteva un esame, la mappa cromosomica, praticamente l’antesignana del DNA, e volle fare anche quello. D’altronde l’ansia li attanagliava entrambi e la paura che qualcosa non andasse nel verso giusto era grande.
         Al momento del ritiro delle analisi il medico, un suo ex compagno di liceo, gli mostrò le tre mappe e cominciò una lunga dissertazione facendogli notare, con dovizia di particolari, come i suoi cromosomi e quelli della moglie fossero confluiti in quelli della figlia." E allora?" disse un po’ preoccupato. "No. Niente stai tranquillo, tutto a posto, è da più di quattro milioni di anni che i bambini nascono così, pensavi di essere originale?" Quando gli presentò la parcella capì perché si era tanto dilungato. Mentre usciva dallo studio il dottore, ridacchiando, aggiunse: "telefona al Papa e digli che non è sua figlia." Questa volta si prese un bel vaffa.

        Si, era una bambina che, ancor prima di nascere, aveva una collezione di foto da fare invidia a una top model, aveva perso il conto di quante ecografie avesse già fatto.
        Una sera, rientrando a casa, trovò la moglie piangente e le altre con facce lugubri, temendo il peggio, chiese cosa fosse successo. "Sono cinque ore che non la sento muovere" disse la moglie. Tirò un sospiro di sollievo e ridendo: "Ma guarda che sta dormendo e poi stamani sei andata a fare l’ecografia ed era tutto regolare."
           Non avrebbe dovuto pronunciare la parola ecografia. Saltò su la suocera: "Bisogna fare un’altra ecografia !" Le disse che intanto cenava e che poi sarebbe andato a letto.
"Ah! vorresti ammazzare mia figlia e mia nipote?" "No, solo la loro mamma e nonna " rispose. Intervenne la cognata:" Guarda che ti assumi tutte le responsabilità."
         Stava per mandarle a quel paese, quando la pugnalata alle spalle arrivò da chi non se lo sarebbe mai aspettato: dalla tata. "Ci hai messo ben otto anni per fare una bambina, vuoi rischiare per una stupida eco?" Discutere con quattro donne coalizzate è una battaglia persa in partenza, indossò la faccia di bronzo, riservata ai clienti speciali, e telefonò al ginecologo. "Ah ciao! è venuta tua moglie stamani, una gravidanza perfetta, vedrai tra una ventina di giorni una bella bimba…ma non te l’ha detto ?" "Si me l’ha detto, ma ora, ecco, vedi.."
         Fu molto carino a non mandarlo direttamente a quel paese e a non fare apprezzamenti, che mettessero in dubbio la moralità di tutti i suoi ascendenti di genere femminile. Disse solamente: "Ti do un consiglio: cambia macchina, ma questa volta comprane una che faccia l’ecografie ! Così la pianti di rompere i c.. a quest’ora !" E troncò la comunicazione.
         Dopo pochi minuti, forse aveva riletto il giuramento di Ippocrate o forse gli dispiaceva lasciare un amico in pasto alle belve, richiamò pronunciando un rassegnato: "Ok venite".
       La nascitura, come previsto, dormiva succhiandosi beatamente il pollice. Fu la rivincita:"L’avevo detto che dormiva!" Gongolava mentre il dottore strigliava a dovere le gentili signore.

       Dopo pochi giorni nacque la bambina ed in seguito non ebbero altri figli. Ogni tanto torna loro in mente quell’ episodio del Papa…chissà.











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sabato 14 marzo 2009

Lettera ad un Professore che non potrà leggerla.

Al mio Professore di storia e filosofia dell’allora glorioso Liceo scientifico Federico Enriques di Livorno.
Caro Professore, sono passati molti decenni, ahimè, da quando imberbe studente del terzo anno cominciai a muovere i primi passi nel mondo della filosofia sotto la Sua guida.
Ingenuamente pensavo che sarà mai questa filosofia? Io conosco i teoremi di Pitagora, di Euclide, di Talete, con tutte le relative dimostrazioni, so risolvere problemi di algebra e geometria non saranno quattro chiacchere ad impensierirmi.
Ricordo perfettamente le prime due lezioni: Lei spiegò per due ore ed io, ma non solo io, non capii assolutamente le parole né tanto meno i concetti da Lei espressi.
Alla terza lezione cominciai ad avere dei seri dubbi sulle mie capacità intellettive.
Solo in seguito mi resi conto che Lei, volutamente, aveva adoperato un linguaggio difficile facendo scontrare la mia vergine mente con parole e concetti come metafisica, ontologia, gnoseologia, logica, per spronarmi al ragionamento, colpendomi nell’orgoglio e per farmi studiare.
La sfida era cominciata. Subii per tutto l’anno scolastico, ma alla fine riuscii a “vendicarmi” o meglio Lei riuscì nel Suo intento.
Devo riconoscere che non ero un soggetto facile, mi aveva insegnato bene Lei, se spiegava il cristianesimo io ero l’anticristo, se Lei spiegava Nietzsche io ero S. Paolo, se Lei spiegava Aristotele io ero Copernico.
Caro Professore, o meglio il Nostro come La chiamavamo noi studenti, scimmiottando il libro di testo, non siamo, una volta che una volta, riusciti a metterLa in difficoltà. Eppure avevo dei compagni di classe brillantissimi.
Qualunque domanda Le ponessimo puntuale arrivava la Sua più che esaustiva spiegazione ed anche una pronta controdomanda che ovviamente, il più delle volte, ci metteva in difficoltà.
Alla fine del quinto anno, qualcuno pensò di chiederLe se non avesse una qualche lacuna.
Ci pensò un attimo e poi ci disse, con aria seria e un po’ desolata, che sì, in effetti, una lacuna l’aveva. Un sogghigno beffardo aleggiò sui nostri volti, ma durò pochissimo la famosa lacuna era nientemeno sull’economia del subcontinente indiano fra il IV e il V secolo avanti Cristo.
Non ho mai saputo se avesse voluto prenderci in giro o meno, infatti cambiammo rapidamente argomento perché una Sua domanda sull’economia del III secolo avrebbe avuto effetti devastanti.
Ricordo, e come farei a non ricordalo, le Sue domande in preparazione della maturità, che noi studenti chiamavamo spazio-temporali: sì, illimitate nel tempo e nello spazio.(allora si portava il programma degli ultimi tre anni, cioè tutto).
Nelle interrogazioni la Sua domanda preferita era: la conoscenza dagli albori della filosofia fino a Croce e che non provassimo a sorvolare su qualche filosofo, perché una raffica di interrogativi ci avrebbe investito e travolto.
Se lo facesse oggi ci sarebbe una rivolta con tanto di manifestazione antimoratti, antiamericana con contorno di bandiere della pace e girotondi.
A proposito di politica, questa era l’argomento che più ci divideva: Lei cristiano e di sinistra, io di destra ed agnostico, Lei partigiano ed io profugo istriano.
Per me ogni occasione era buona per farle rimarcare come l’ Urss fossa più imperialista degli Usa.
A una Sua domanda su Kant, in maniera assolutamente provocatoria, esordii dicendo: Kant, il famoso filosofo russo nato a Kaliningrad… praticamente fu un suicidio.
Quella stessa sinistra, che Lei amava tanto, fu proprio quella che La tradì in ciò che di più caro aveva: il Suo ruolo di educatore, di Demiurgo delle nostre anime.
Quanto avrà rimpianto, negli anni del sessantotto la nostra classe: discepoli vivaci, ma rispettosi nessuno di noi si è mai sognato di darLe del tu o di apostrofarLa: ” Ehi prof.”!
Quella sinistra, che stava emergendo, non Le piaceva e la piega che aveva preso la scuola ancora meno.
E’ per questo che Lei rinunciò all’insegnamento e poco dopo scomparve ancor giovane?
I miei compagni di classe ed io non La dimenticheremo.
Addio, Professore, a Dio se Dio esiste.


nota: Kaliningrad è l'odierno nome di Königsberg città tedesca della Prussia orientale annessa alla russia sovietica,senza alcun motivo storico.
"La città venne pesantemente bombardata durante la
Seconda Guerra Mondiale, e totalmente rasa al suolo finché non venne conquistata dai soldati dell'Armata Rossa. I pochi abitanti tedeschi sopravvissuti furono espulsi in massa dalla città e sostituiti da popolazioni russe, e anche gli edifici storici superstiti come il castello dell'ordine teutonico vennero in seguito demoliti per fare posto ad edifici in stile sovietico in una sorta di damnatio memoriae di tutto ciò che era tedesco. Solo dopo la caduta del muro di Berlino l'ex cattedrale, con la tomba di Immanuel Kant, precedentemente in rovina, è stata restaurata e costituisce uno dei pochissimi edifici storici della città." (da Wikypedia)

Per me, proveniente dall'Istria era come un gemellaggio ed una grossa provocazione per i sx.





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mercoledì 11 marzo 2009

Una chiesa "No Islam"




Haendel: Hallelujah
Ogni tanto, specie per le feste comandate, come si suol dire, mia moglie ha piacere che l’accompagni alla Messa. La domenica delle Palme è una di queste, l’olivo benedetto ed un clima festoso e primaverile, tutto sommato, si possono anche accettare. Se Enrico IV disse:Paris vaut bien une messe, parafrasando, posso dire: un grand amour vaut bien une messe.
Pongo una sola condizione: scegliere la chiesa. Immancabilmente la mia preferenza cade sulla chiesa pisana di S.Stefano, forse l’unica chiesa sicuramente “no islam” d’Italia.

Non tutti sanno che, alla battaglia di Lepanto del 1571,nella Lega Santa (*) insieme alle altre flotte erano presenti dodici galee toscane(**), di cui la maggior parte erano armate dal Sacro Militare Ordine Marittimo dei Cavalieri di S. Stefano (ordine istituito da Cosimo I de' Medici il I° Ottobre 1561 con sede in questa chiesa a Pisa).

cav1 Progettata dal Vasari la cinquecentesca navata centrale, la più antica, è semplicemente splendida, specialmente il soffitto, dove quadri di autori fiorentini del ‘600, sono incastonati in una cornice finemente lavorata e ricoperta d’oro, che occupa tutta la parte superiore della chiesa. I trofei, le bandiere e le insegne appartenuti alla flotta turca di Alì Pascià e conquistati nella battaglia, ornano le pareti laterali, mentre la porta di ingresso è contornata da parti lignee scolpite di navi dell’epoca. Una grande statua di S. Pio V, per il cui volere si costituì la Lega Santa, sovrasta l’altare maggiore.
Siamo sicuramente nella chiesa del cattolicesimo più classico, nessun “sinistro” strimpellio di chitarre, come in certe chiese del cattolicesimo fai da te, ma il suono grave e solenne dell’organo, le cui canne, anch’esse incastonate, come i quadri del soffitto, fanno bella mostra di sé ai lati dell’altare. Non seguivo molto le parole del priore, anche perché la liturgia pasquale mi è ben nota, ma l’atmosfera di questa chiesa mi induceva ad un salto indietro nel tempo: Lepanto 1571. Non possiamo che ringraziare il comandante della spedizione don Giovanni d’Austria, all’epoca giovane ed inesperto, ma abbastanza intelligente da seguire le indicazioni dell’ammiraglio veneziano Venier, che scelse il momento giusto per l’attacco ed a lui va attribuito il merito della vittoria.

Una grande battaglia per la Civiltà, per la nostra Civiltà.

Non credo che oggi saremo altrettanto eroici da respingere le barbarie dell’islam, anche perché molti europei, con la vigliacca scusa della tolleranza, hanno issato bandiera bianca.


cliccare 2 volte col sx sull'immagine per ingrandirla


(*)Il 20 maggio 1571 venne formata la Lega Santa contro i Turchi. Vi aderirono il regno di Spagna, la repubblica di Venezia, lo Stato Pontificio, le repubbliche di Genova e di Lucca, i Cavalieri di Malta, i Farnese di Parma, i Gonzaga di Mantova, gli Estensi di Ferrara, i Della Rovere di Urbino, il duca di Savoia, il granduca di Toscana con l’ordine dei cavalieri di S. Stefano. La Lega era stata fermamente voluta da Pio V per contrastare l’avanzata islamica in Europa.
(**)Per la precisione 12 galee con insegne pontificie noleggiate presso Cosimo de' Medici montate da Cavalieri di Santo Stefano e soldati delle Marche e delle Romagne.

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martedì 10 marzo 2009

Immensità o infinità?







La sonata al Chiaro di Luna nella superba interpretazione di Arthur Rubinstein.

"Così tra questa immensità s'annega il pensier mio"
Avevo scelto questo titolo per un mio post sulle recenti teorie cosmologiche, poi una sensazione, un vaghissimo ricordo liceale, che c’era qualcosa di particolare in questa poesia, oltre le solite e scontate critiche letterarie. Così ho ricercato i manoscritti originali del Leopardi che qui riporto.
La prima stesura presenta delle correzioni in diversi punti.
La seconda, che dovrebbe essere quella definitiva, presenta una correzione solo sulla parola “immensità” cancellata e sovrascritta con “infinità.























La correzione autografa è ben visibile, sul penultimo endecasillabo in entrambi i manoscritti.Anche i poeti, possono ricredersi, è vero, ma lo strano è che la parola cancellata l’ “immensità” è quella che compare nella versione definitiva della poesia, come si può leggere nei libri. Escludendo un refuso del tipografo, almeno nelle edizioni successive alla prima che era il Nuovo Raccoglitore, deve esserci stato un intervento del poeta all’ultimo minuto. Perché? Non si tratta di metrica , poiché sia infinità sia immensità sono parole quadrisillabe ed ambedue tronche, non si può pensare ad una convenienza lirica: le parole sono entrambe importanti e “suonano”quasi alla stessa maniera. Nello "Zibaldone", sia la parola "infinità" che quella "immensità" compaiono diverse volte e quasi in egual numero, quindi entrambe, sono nel lessico abituale del poeta.
L’infinità e l’immensità, per quanto esprimano un concetto di “molto grande”, non implicano il concetto di infinito, quindi la differenza deve essere sottilissima.La mia personale interpretazione, del tutto opinabile, è che, forse, alla parola “infinità” il poeta da un significato di "molto grande", ma numerico lineare (ho un’infinità di cose da fare nel senso di numerose cose da fare), mentre con immensità intende un concetto spaziale che, Leopardi, ha ritenuto, alla fine, più consono al contesto. Il concetto di infinito, vero e proprio, viene invece, riservato all’Eterno, al tempo,(“le stagioni”), e al “pensier mio”.


Non ero molto entusiasta di questo post, quando ho dell’incertezze non mi sento soddisfatto, anche se scrivo per mio puro sollazzo. Si sono egoista e, non scrivendo per mestiere, posto quello che più mi aggrada e quando mi aggrada, ma non mi piace dire cose inesatte o sbagliate. Ciò premesso, se ho dei dubbi chiedo lumi a chi ritengo ne sappia più di me. Nel campo letterario ed artistico, ho avuto modo di apprezzare un amico di blog, persona veramente preparata e squisita, Josh, con cui ho una corrispondenza sia email sia di commenti sui post; a lui mi sono rivolto per sentire cosa ne pensasse in proposito. Per tutta risposta mi è arrivata una critica completa de ”L’infinito”, con paralleli con lo Zibaldone, nonché interpretazioni alla luce della filosofia leopardiana… potrei scrivere 10 post!!!


Su molte parole e versi abbiamo concordato rapidamente su altre, avendo preparazioni diverse, lui letteraria ed io scientifica, abbiamo discusso a lungo sul significato da attribuire loro, specie su “infinità” ed “immensità”, nel lessico leopardiano.
Sulla parola immensità siamo concordi che il L. intendesse un “infinito spazio -temporale”, che più si adatta ad inglobare tutti i concetti espressi nei versi precedenti, mentre per la parola “infinità”, anche alla luce di quanto scritto nello Zibaldone, io sostenevo che questa parola implicasse un infinito solo lineare:
"Circa le sensazioni che piacciono pel solo indefinito, puoi vedere il mio idillio sull'infinito, e richiamar l'idea di una campagna arditamente declive in guisa che la vista di una certa lontananza non arrivi alla valle; e quella d'un filare d'alberi, il cui fine si perda di vista, o per la lunghezza del filare o perch'esso pure sia posto in declivio,…..
Una fabbrica, una torre ecc. veduta in modo che ella paia innalzarsi sola sopra l'orizzonte, e questo non si veda, produce un contrasto efficacissimo e sublimissimo tra il finito e l'indefinito ecc ecc (Zibaldone, 1430-31, 1 agosto 1821)
Sempre dallo Zibaldone, altri elementi fisici-percettivi che gli scatenano per contrasto l'idea di infinito/indefinito (come lo chiama qui)(Josh) "una fuga di camere o case, cioè una via lunghissima o dirittissima"
Ma forse, una spiegazione della scelta di “immensità”, può essere più semplice:


Josh,tra le altre cose, mi scrive:


“Alla fine, per l'edizione definitiva, Leopardi scelse per il penultimo verso "immensità" e non infinità, anche se momentaneamente aveva corretto così come ci mostri. Si tratta, direi anche io, di un intervento all'ultimo del poeta. Sono entrambe parole quadrisillabe e tronche quindi si esclude, come dici, il motivo metrico, il significato delle due parole sembra simile ma ha sfumature leggermente diverse nel lessico leopardiano. La scelta non è quantistica, né lirica, ma forse in minima parte dovuta ai termini filosofici, e di più direi io per evitare una ripetizione/assonanza. (con il titolo e con l’infinito silenzio di pochi versi sopra. ndr)(non suonano alla stessa maniera, in effetti)”
“Questo idillio sembra più alieno dalla filosofia, ma solo in apparenza. E' più libero di altri componimenti dall'intellettualismo, ma non ha all'origine né l'abbandono mistico, né un atteggiamento solo contemplativo: anche qui è chiaro lo sforzo leopardiano di superare i limiti imposti dalla Natura all'uomo.”

Mi dispiace, dover tralasciare il resto dello scritto di Josh, sicuramente molto interessante (e che mi godrò in privato), ma questo post voleva solo mettere in evidenza quella particolarità del penultimo verso.
Aldilà di ogni considerazione critica, io giudico sempre le opere d’arte in base all’emozione che sanno suscitare in me, indipendentemente dall’autore. Non vi è alcun dubbio che questa poesia mi avvince più di tante altre liriche.

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lunedì 9 marzo 2009

Immagini sulla 9°sinfonia di Beethoven

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domenica 8 marzo 2009

L ' Uomo, la Natura, Leopardi e Beethoven.




Invitato da un blogger a fare un commento sul seguente passo del Leopardi:

«.....Bisogna distinguere tra il fine della natura generale e quella della umana, il fine dell’esistenza universale e quello della esistenza umana, o per meglio dire, il fine naturale dell’uomo e quello della sua esistenza. Il fine naturale dell’uomo e di ogni vivente, in ogni momento della sua esistenza sentita, non è né può essere altro che la felicità, e quindi il piacere suo proprio; e questo è anche il fine unico del vivente, in quanto a tutta la somma della sua vita, azione, pensiero. Ma il fine della sua esistenza, o vogliamo dire il fine della natura nel dargliela e nel modificargliela, come anche nel modificare l’esistenza degli altri enti, e insomma il fine dell’esistenza generale, e di quell’ordine e modo di essere che hanno le cose e per se, e nel loro rapporto alle altre, non è certamente in niun modo la felicità né il piacere dei viventi, […] perché questa felicità è impossibile […]. Dunque la natura, la esistenza non ha in niun modo per fine il piacere né la felicità degli animali; piuttosto al contrario» [Z 4127-4129, 1825].

Ho voluto fare un commento un po’ fuori dagli schemi…. Provate a leggere il Leopardi con il sottofondo della pastorale di Beethoven e fate attenzione ai suoi movimenti , soprattutto agli ultimi tre. La sesta sinfonia è un inno alla natura, dalla gioia del festoso incontro dei contadini, alla paura del temporale e, dopo la tempesta , come ringraziamento, il canto pastorale. Un’immagine ideale della natura, tradotta in sensazioni ed integrata dalla presenza dell’uomo, in una splendida miscellanea di suoni e colori. I contadini,interrompendo le danze, conosceranno la natura come forza funesta ,il temporale,mentre nel canto pastorale s’instaura un’armonia arcadica tra l’uomo e la natura stessa.E’ l’antica dicotomia tra vita e morte, tra gioia e dolore , per Beethoven è trionfante la gioia ,in Leopardi lo è il dolore.

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giovedì 5 marzo 2009



orologideformi
L'opera più celebre di Dalì è sicuramente “La persistenza della memoria”; in questa tela sono rappresentati orologi deformi, sciolti, appoggiati sopra degli oggetti o su di un ramo di un albero a simboleggiare una necessaria ridefinizione del tempo. Salvador Dalí fu influenzato dalla fisica relativistica di Einstein e in questa opera, il grande pittore, ha dato la sua interpretazione artistica e geniale della nuova teoria. La deformazione delle immagini degli orologi simboleggia molto bene la deformazione dello spazio-tempo.L'orologio è sicuramente lo strumento razionale per eccellenza ; permette di misurare il tempo e scandisce le nostre esigenze empiriche quotidiane. Deformando l'orologio e trasformandolo in una figura colloidale, la cui forma sembra adattarsi, ma non completamente, alle superfici su cui viene posta, Dalí fa riconsiderare all'osservatore la dimensione del tempo, della memoria, del sogno e del desiderio,  nelle quali il prima e il dopo si confondono e lo scorrere del tempo sembra variare con la percezione soggettiva. 
Una interpretazione artistica, filosofica che presume una comprensione scientifica delle proprietà  dello spazio-tempo relativistico di Einstein.

L' ultimo silenzio per i Lupi di Toscana





Premessa

L'anno scorso, quasi di questi tempi, scrissi questo piccolo post per mio ricordo e senza pretese letterarie. Ha avuto un successo impensabile più di 600 visite nei primi 2 giorni, tanto che decidemmo con l'Associazione Lupi di Toscana di Firenze di aprire un apposito blog, dopo neanche un anno le visite al blog, che nel frattempo è stato arricchito con foto, filmati e articoli, hanno superato la cifra di 22.000, che visto la particolarità dell'argomento, mi sembra un buon risultato. Aldilà dei numeri quello che più è commovente vedere quanti "lupi" sono intervenuti e quanti mi hanno mandato foto e filmati da pubblicare. Pensate che la stragrande maggioranza sono ragazzi di leva.........tutti uniti nel ricordo e nell'orgoglio di essere stati nei "Lupi di Toscana".

http://78lupiditoscana.wordpress.com/


Dopo 146 anni di storia il glorioso 78° Reggimento “Lupi di Toscana”verrà sciolto.
Il 31/03/08 Verrà sancita la fine operativa del reggimento.
Uno dei più gloriosi dell’Esercito italiano con la Bandiera decorata con l’ordine militare d’ Italia, una medaglia d’oro, due medaglie d’ argento al valor militare, una medaglia d’argento al valor civile, due attestati di pubblica benemerenza al valor civile e decine di medaglie al valore per imprese eroiche di singoli fanti.
Nel novembre 1916 in località Veliki- Faiti il reggimento si coprì di gloria e viene decorato con medaglia d’oro. Nella motivazione della medaglia si legge:” il nemico, sbigottito dall’eroismo dei fanti del 78° gridò “ Ma questi non sono uomini, sono lupi “.

Da allora i soldati del 78° reggimento, ai miei tempi di stanza a Firenze e Livorno, portano sul petto a sinistra, un distintivo dorato con due teste di lupo.

E’ il reggimento nel quale ho adempiuto all’obbligo militare, come sottotenente, al comando di un plotone di assaltatori.
In memoria di tutti i caduti verrà suonato per l’ultima volta il silenzio.
Reggimento presentat’arm!!!

“LUPI”
————————————————————————————–

Il monumento, della foto, per ora, si trova nella caserma Gonzaga di Firenze.E' in atto un lungo braccio di ferro con l'ufficio storico dell'esercito, per metterlo in una piazza di Firenze, già individuata dal comune che è d'accordo, ma a Roma, more solito, mettono i bastoni tra le ruote, e lo vogliono disperdere in qualche magazzino, come hanno già fatto con gli altri cimeli per i quali, noi avendo trovato dei locali adatti, avevamo proposto un museo a Firenze. Non c'è stato niente da fare.
Il distintivo, rappesentato nella foto, è quello originale, che portava anche d'Annunzio, con tanto di nodo Savoia. Inutile dire che con l'avvento della repubblica il nodo savoia fu tolto.


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lunedì 2 marzo 2009


Marina di Pisa, una località un po’ particolare, molto in voga nell’ 800 e primi ‘900, è intrisa di ricordi poetici e storici .


Da Pisa ci si arriva percorrendo, lungo il fiume, il viale D’Annunzio, dopo pochi chilometri si giunge alla foce dell’Arno, citata da un non benevolo Dante, che da buon fiorentino era nemico dei pisani:


“….muovasi la Capraia e la Gorgona,


e faccian siepe ad Arno in su la foce


sì ch'elli annieghi in te ogne persona!...”


(inf.XXXIII)


Non è proprio la stessa foce di oggi perché, a quei tempi, era spostata più ad est, verso la città, ma il concetto è chiaro, anzi chiarissimo.


Qui nel 1860, Garibaldi fece scalo per imbarcare i volontari toscani che parteciparono alla Spedizione dei Mille ed in questo luogo è stato posto, a ricordo, un piccolo obelisco.


E così D’annunzio:



O Marina di Pisa, quando folgora
il solleone!
Le lodolette cantan su le pratora
di San Rossore
e le cicale cantano su i platani
d'Arno a tenzone.
Come l'Estate porta l'oro in bocca,
l'Arno porta il silenzio alla sua foce
. ….”

(Tenzone dall’Alcyone)


I primi versi del' Alcyone sono riportati su uno scoglio accanto alla terrazza che si affaccia sul mare e che prende il nome dal Poeta.


Seduti al tavolino di un piccolo bar, ubicato lì nei pressi, si possono intravedere le torri delle secche della Meloria, dove fu combattuta la famosa battaglia tra genovesi e pisani nel 1284.


Mi aggrada andare in questo bar, specie d’inverno e nei giorni feriali, lungi dalla calca estiva o domenicale, urlante e becera, che vede, in questo luogo, solo un posto dove fare il bagno e prendere la tintarella gratis.


I tavolini tutti vuoti finalmente! Così, nel tardo pomeriggio, pressoché solo, davanti ad una bibita e con un libro aperto, guardo il mare ed il tramonto con le sue luci cangianti e con i suoi colori inimmaginabili.


Il disco solare, scendendo verso l’illusoria linea dell’orizzonte, perde la sua forza abbagliante e, finalmente, lo possiamo ammirare in tutta la sua maestosità: il dio Atum Ra sta per tramontare.


tramonto111.jpg


Mi sento partecipe di questo quadro naturale, che solo pochi pittori riescono riprodurre, adeguatamente, su tela.


La mia parte irrazionale sta veleggiando verso siti di quiete interiore, quando la mia vocetta razionale, beffardamente, mi ricorda che, data la distanza terra sole e considerando la velocità della luce tu credi di vedere il sole, ma è già tramontato da otto minuti e trenta secondi circa. Mi automando a quel paese, ma ormai l’incantesimo è rotto.


Altri pensieri s’affacciano, io stavo guardando un’immagine, dietro l’immagine il nulla. Un insieme di fotoni immateriali, che viaggiando a una velocità pazzesca, s’infrangono sulla terra.


Stavo guardando il nulla ed il mio spirito gioiva nel guardarlo, ammiravo una falsa immagine!


Quante altre false immagini ci sono nella vita?


Un tavolo,una storia.

Un mobile, una storia.
La scagliola è una tecnica antica,anzi un’arte, nata intorno al XVI secolo per imitare marmi rari e pregiati. Come materiali si utilizzano: gesso,colla, cera e coloranti. Miscelando il tutto e sapendolo fare, si ottengono effetti cromatici di indubbia bellezza, che fanno bella mostra di sé su piani per tavoli, tavolini,stemmi, consolles ed anche come rifiniture delle pareti.

Nel sito
http://web.tiscali.it/restauroantico/scagliola.htm
possiamo leggere:

“Nel museo civico di Carpi è conservato il ritratto di Guido Fassi all’età di trentadue anni, sul quale vi si legge la scritta “Guido Fassi da Carpi inventore dei lavori in Scagliola colorita e macchinista 1616″. Anche se non si può attribuire con certezza la paternità al Fassi, questa è la prima testimonianza documentabile dove si specifica l’invenzione della tecnica.
Guido Fassi (1584-1649): di lui sappiamo che era un artista poliedrico, attivo nel campo dei progetti edili, dell’ingegneria, idraulica, meccanica, e tutte le attività che richiedevano una dimestichezza con il materiale edilizio (in particolare lo stucco).”




Il tavolo riprodotto nella foto è della fine ‘500, ed è di nostra proprietà fin da quell’epoca, pertanto non ho dubbi circa l’autenticità dell’oggetto, mentre non ho notizie certe sul nome dell’artigiano che lo ha eseguito, molto probabilmente fiorentino, a quel tempo, solo raramente i mobili venivano firmati,viceversa nel ‘700 troviamo mobili firmati,come quelli di Maggiolini un grande artista nella progettazione ,realizzazione e nell’intarsio. Dalla sua “bottega” sono usciti dei veri capolavori lignei.
Come si può notare il piano è in scagliola e presenta, purtroppo ,delle rotture. Ho pensato molto se farlo restaurare o no, perché queste rotture hanno una loro storia.
Nel 1944 il piano del tavolo era ancora integro e la casa ,in cui si trovava, fu occupata dall’esercito tedesco che l’adibì ad ufficio di comando. Quando i tedeschi si ritirarono, lasciarono la casa come l’avevano trovata, non avevano procurato alcun danno. Evidentemente la posizione doveva essere strategica, perché anche gli alleati pensarono di installarci un comando militare. In breve, il giorno del loro arrivo,con un camion buttarono giù la colonna di sostegno del cancello di accesso al giardino e poco dopo pensarono bene di appoggiare delle cassette sul piano di questo tavolo.
La scagliola, un po’ per la sua stessa composizione e un po’ per l’età, cedette in più punti e così è rimasta d’allora.




L'ultimo mutuo soccorso

Anna, Lina, Enrico e Marcello, quattro liceali all’esame di maturità.

Dopo cinque anni di duro Liceo arrivò il giorno degli esami finali: la tanto temuta maturità.


Non era un esame da poco, sei scritti e nove orali ed in più dovevano essere preparati sul programma degli ultimi tre anni, in pratica su tutto quello che avevano studiato.


In quinta erano rimasti in dodici e tutti molto affiatati, ma i quattro, che sedevano due al primo banco e due al secondo, avevano cementato una solida amicizia, tanto solida, che il professore di lettere affibbiò loro il nomignolo di società del “mutuo soccorso”. Infatti se uno di loro si trovava in difficoltà, su qualche argomento, prontamente scattava,da parte degli altri, un aiuto sotto forma di suggerimento.


Finite le lezioni, prepararono gli esami insieme, ospitandosi a turno nelle rispettive case e così, per un mese, mentre gli altri erano al mare, si sacrificarono in maniera disumana.


Lina era, sicuramente, la più dotata del gruppo, una formidabile latinista: la migliore di tutta la scuola. Per fortuna che c’era lei, la versione di latino era un brano difficile, ma con pochi suggerimenti, ben dati, mise tutti in grado di fare una buona traduzione.


Arrivò il giorno atteso e temuto: quello dell’esposizione dei quadri con i risultati; con comprensibile timore e con il cuore che pulsava al massimo, si accinsero a leggere la sentenza.


Un urlo, più di liberazione che di gioia: tutti e quattro promossi! Un ottimo risultato, erano i tempi in cui se zoppicavi in una materia, ti rimandavano a settembre e se eri deficitario in tre, ti facevano ripetere l’anno senza tanti complimenti.


La sera stessa Enrico chiamò Marcello e tutto eccitato gli disse: sai papà, per premio, ci offre a tutti una serata alla Bussola, quando c’è Mina, macchina ed autista; telefona a Lina che io chiamo Anna.


All’epoca, la Bussola delle Focette in Versilia, era il locale più “in” d’Italia, arrivarci con tanto di macchina con autista ed in abito da sera, era certamente un evento memorabile.


Lina non aveva il telefono, così chiamò la zia, che abitava accanto e che faceva la sarta, pregandola di farla venire all’apparecchio. Ciao Lina, e tutto d’un fiato disse: il papà di Enrico ci offre una serata alla Bussola, quando c’è Mina! Dopo un attimo di silenzio: sai non so se il mio babbo mi ci manda e soggiunse un po’ mestamente, poi non saprei cosa mettermi.


Sarebbe voluto sprofondare e mentalmente si dette dello stupido, nell’ euforia del momento non aveva pensato, che la sua famiglia l’aveva fatta studiare con grandi sacrifici e che comprare un abito da sera con tutti gli accessori, era una spesa che non si sentiva di chiedere in casa.


In un attimo gli passarono per la mente i cinque anni di liceo, gli esami fatti insieme, gli aiuti che generosamente gli aveva dato e si disse che questa volta il “mutuo soccorso” doveva funzionare anche fuori della scuola: costi quello che costi.


Senti: pensa a convincere il babbo per il resto non ti preoccupare, in qualche maniera faremo.


Chiamò Anna, Enrico aveva già messo molto, per cui era una questione che dovevano sbrigare loro due, le spiegò la situazione ed anche lei convenne che Lina doveva venire in tutte le maniere con loro.


Potrei darle un mio vestito, ma andrebbe rifatto tutto lei è molto minuta; visto che non ci arrivava da sola, Marcello, scandendo bene il suo cognome, disse: nei tuoi negozi avete migliaia di metri di stoffa, non fare la tirchia! Il messaggio era chiarissimo, tanto che rispose tra il risentito e lo scherzoso: non vorrai alludere al fatto che sono ebrea vero? No, solo che sei molto oculata nelle spese… Datti da fare e non lesinare sui centimetri, ricordati che deve essere un abito lungo. In cinque anni non l’aveva mai sentita dire una parolaccia, evidentemente in tutte le cose c’è sempre una prima volta……


Rimanevano da trovare una collana, la borsetta e le scarpe. Per la collana, non c’erano problemi la sorellina di Marcello aveva ereditato dalla nonna alcuni gioielli ed essendo troppo giovane, aveva ampiamente sottovalutato il loro valore e li avrebbe prestati facilmente; aveva anche una borsetta in lamè d’argento, ma a quella teneva moltissimo. Cara sorellina! Che cosa vuoi, fu la sua sospettosa risposta; ecco…mi dovresti fare un favore….dovresti prestare a Lina una collana e …e la tua borsetta da sera. Ah! per andare alla Bussola? Bene bene bene, pensò: il caro fratello ha bisogno di me.


Sai anch’io dovrei andare ad una festa, ma babbo, da sola, non mi ci manda….se….però mi accompagnassi tu…cambierebbe idea. Non era proprio un ricatto, ma gli assomigliava molto….


Alla fine giunsero ad un’equa transazione: una parure di perle, un braccialetto d’argento e la borsetta di lamé; in cambio l’avrebbe accompagnata alla festa, sarebbe tornato a riprenderla, pur rassicurando il loro padre che sarebbe rimasto tutto il tempo con lei.


Ora rimanevano le scarpe. Aveva racimolato qualche soldo dagli zii per la promozione e decise di sacrificarli in questa operazione; presa la borsetta andò nel negozio in cui erano soliti servirsi in famiglia, pensando che uno sconto glielo avrebbero fatto.


Ciao Marcello, lo salutò il proprietario del negozio, li vuoi un bel paio di mocassini estivi?….sono appena arrivati. No voglio un paio di sandali con il tacco alto e, tirando fuori la borsetta, di questo colore. Sandali? Borsetta? E ridendo: ma guarda che strano effetto ti hanno fatto gli esami di maturità…. Beh gli dovette spiegare per filo e per segno tutta la storia e fu un bene.


Prese un paio di sandali: ecco questi dovrebbero andare bene, sono i più belli che abbia in negozio. Per essere belli erano belli, anzi bellissimi, ma, avevano un grosso difetto, costavano tre volte quello che poteva spendere, anche chiedendo uno sconto, erano sempre fuori portata. Un po’ imbarazzato gli disse: te li pago una parte subito e una parte un po’ alla volta. Sul momento rimase in silenzio, fece un bel pacchetto e, mentre glielo consegnava, bofonchiò: io a queste condizioni non vendo. Prendi i sandali e vai. Ciao.


Era stato molto generoso, il fatto che Marcello, Enrico ed Anna, con le rispettive famiglie, fossero suoi clienti avrà anche influito, ma sicuramente non era stato obbligato a farlo.


Squillò il telefono e con voce gelida Anna annunciò: Marcello, ho la stoffa, passami a prendere che la portiamo alla zia di Lina. Il tono non ammetteva repliche, se l’era presa a male per quello che le aveva detto prima.


Lina e sua zia abitavano nel quartiere livornese chiamato Venezia, la parte più antica della città, un susseguirsi di ponti e canali con i caratteristici scali.


La sua costruzione risale alla fine del ‘500





Una parola in più meritano gli scali, essendo una città dedita, da sempre, al commercio le rive dei fossi erano, quasi ovunque, dotate di attracchi per le imbarcazioni che trasportavano le merci da stivare nei magazzini, ricavati sotto le case. In seguito, la fine del regime di porto “franco” e lo svilupparsi della città verso sud, fecero declinare questo quartiere, oggi, per fortuna, è stato quasi del tutto ricuperato.


Negli anni ’60 erano ancora ben visibili i pesanti segni lasciati dall’ultima guerra, molti i palazzi distrutti e quelli danneggiati rattoppati alla meglio. Proprio in uno di questi abitava la famiglia di Lina e, mentre attendevano che sua zia aprisse la porta, Marcello chiese ad Anna di che colore fosse la stoffa. Turchese. Turchese? Sarà uno scampolo che avevano in negozio, pensò.


Lei intuì cosa gli passasse per la testa e soggiunse: ”Non dire ad alta voce quello che stai pensando perché, altrimenti, la nostra amicizia finisce qui”.


Alla vista della stoffa la zia, che facendo la sarta di tessuti se ne intendeva, esclamo: è di seta! Il turchese è il colore di moda! Mostrandoci una rivista, disse lo faccio uguale a questo, verrà un bellissimo vestito!


Marcello non ebbe bisogno di leggere nel pensiero di Anna, quello che gli voleva dire l’aveva ben stampato a chiare lettere sul volto: ”hai visto, cretino”


In effetti aveva fatto le cose in grande, un tessuto molto costoso ed aveva, persino, aggiunto una bottiglietta di smalto per unghie madreperlato. Le scuse furono doverose.


Marcello si attendeva qualcosa dai suoi ma, come al solito gli avrebbero fatto un “inutile” regalo “utile”, questa volta si sbagliò: ricevette una congrua cifra di denaro.


La sera dell’uscita, in casa di Lina c’era un certo fermento, gli ultimi ritocchi al trucco ed ai capelli, la zia che le sistemava il vestito, un andirivieni di amiche e parenti; tutti avevano qualcosa da dire e da suggerire. Finalmente scese, a tutte le finestre del palazzo c’era gente a guardare e a commentare ma, i più bei commenti furono quelli della sua nonna: “ oh mamma ! come è bella la mi’ Lina! E quella macchina è più lunga del “filobusse”! E poi quei du’ ragazzi vestiti come pinguini del parterre (lo zoo)…ma “un è mi’a ‘arnevale…”. Zitta nonna, quello è l’abito da sera per gli uomini…. Ah, se lo dici tu … rispose non convinta, “Deh!sarà…ma a me mi sembrano pinguini”.


Anche Enrico aveva fatto le cose in grande: tavolo per quattro in prima fila, proprio vicino al palco, dove si sarebbe esibita Mina.



mina72b.jpgVenne il cameriere a prendere le ordinazioni e Marcello anticipando tutti, con una certa nonchalance ordinò: “ci porti una bottiglia di champagne e che sia Dom Perignon”. Erano i tempi in cui James Bond furoreggiava in tutti i cinema ed era il mito dei ragazzi di allora.


Si era appena allontanato il cameriere che i tre in coro gli dissero: “ma che sei impazzito!” Piatti e bicchieri per tutto il resto dell’estate te li lavi da solo!


Ragazzi ricapitoliamo il tutto. Abbiamo fatto un’ entrèe hollywoodiana, siamo arrivati con una macchina uguale a quella del presidente della repubblica, con tanto di autista in livrea, voi ragazze siete in abito da sera e noi in smoking, cioè come pinguini per dirla come tua nonna, i paparazzi fuori, non sapendo chi fossimo, nel dubbio ci hanno fatto anche le foto, siamo seduti in prima fila nel locale più famoso d’Italia per ascoltare Mina… e che volevate ordinare? una Coca Cola con quattro cannucce? Il ragionamento non faceva una grinza ma, dovette mostrare loro il portafoglio ben rifornito per tranquillizzarli, poi la voce squillante di Mina riempi di allegria e spensieratezza il locale.


Fu l’ultimo intervento del ”mutuo soccorso”, dopo pochi mesi la “società” si sciolse tristemente. Un male incurabile aveva reciso la giovane vita di Lina e la loro sincera amicizia, offuscando, per sempre, con il dolore, i più bei ricordi di quegli anni giovanili.


cenni storici su Livorno e sul sito internet


http://italia-l.vps.it/livorno/storia_di_livorno/storia_di_livorno-6-14-38-i.html si può leggere, tra l’altro:


“…. Il cuore di Livorno è detto anche Venezia Nuova ed è ancora simile al progetto originale di Bernardo Buontalenti, affinché rispondesse alle esigenze di una “città ideale”. Elemento primario del progetto è l’acqua, che attraverso i suoi fossati circonda Livorno, che tanto ricordano la città di Venezia. Furono proprio maestranze veneziane, infatti a costruire questo quartiere. Da non perdere è lo spettacolo che si gode dal battello che fa il giro guidato dei fossi, l’ingegnosa rete di canali che attraversa l’antico e pittoresco quartiere del centro storico costruito, come la città di San Marco, sull’acqua. Tra le variopinte imbarcazioni ormeggiate lungo i canali, si giunge, camminando, sino al porto Mediceo, non prima però di aver scorto la mole imponente della Fortezza Vecchia. Canali, fortezze, piazze aperte al libeccio: Livorno deve tutto ai Medici…..”