Narrare

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sabato 27 febbraio 2010

Pola 1944
Il cavaliere e l’orsetto.
                     All’università ho studiato il calcolo delle probabilità ma, chissà come mai, se lo applico a me stesso, non funziona. Tutte le volte, che cerco qualche cosa in un mucchio, è sempre l’ultima, nell’ultimo baule e nel baule proprio sul fondo. Misteri della matematica o nuvoletta alla Fantozzi?
                     Così, cercando un libro in un vecchio baule, ho ritrovato, ben riposto, da mia madre, quello che era stato il mio unico giocattolo da piccolo: un orsetto. Un pò malconcio, senza un occhio, con la stoffa sdrucita da cui fuoriesce la paglia.
                      Raccogliendolo, quasi fosse un videoclip, cominciano a scorrere nella mia mente immagini di un lontano passato. Immagini confuse, che si accavallano, che si sfumano, che si ripresentano ma, lentamente, i contorni si vanno definendo.
Soldati, armi, spari, sirene d’allarme, il fragore delle bombe, il rifugio. Già, il rifugio letto di quasi ogni notte.
                      Accovacciato su un giaciglio di paglia, avvolto in una vecchia coperta, abbracciavo il mio bobi, l’orsetto, unica certezza in tanto marasma. Ero troppo piccolo per capire e troppo grande per non ricordare.
                     Nell’ombra, sfumata da una fioca luce, c’era uno strano soldato che accarezzava la testa del suo cavallo, per non farlo nitrire. Che ci faceva, un cavaliere dall’aspetto orientale, a Pola nel 1944 ? Mandato a combattere una guerra che, forse, non gli apparteneva e a morire per quale causa ? Mi ero affezionato a quella presenza, chissà cosa avrei fatto per montare in groppa a quel cavallo.
                      Una sera non venne e non è più venuto, ma non credo che fosse, perché era tornato a casa.
Forse, certi vecchi bauli è meglio lasciarli chiusi.
arenapola.jpg
Nota per il lettore politicamente corretto che non sa, o ipocritamente non vuole sapere. Pola, città rifondata dai romani su antiche vestigia, era italiana e fu abbandonata al suo tragico destino, come tutta la popolazione istriana, dai governi “democratici” postbellici.
Quei fortunati che riuscirono a salvarsi furono trattati in modo vergognoso, dai suddetti governi,  in quanto memoria vivente del loro tradimento. Sarebbe stato meglio, per loro, che fossimo tutti democraticamente morti per mano dei democraticissimi partigiani comunisti italiani e titini.

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sabato 20 febbraio 2010

Un mulino ad acqua.

Un sogno irrealizzato e ormai non più realizzabile





Apri la cassetta della posta, vedi delle lettere e pensi: bene mi hanno scritto, c’è qualcuno che si ricorda di me. Delusione profonda, i mittenti sono i fornitori di energia elettrica, acqua, gas, spazzatura, passo carrabile e via discorrendo, che ti scrivono “Gentile cliente le inviamo la fattura per i consumi relativi al periodo dal al e Le alleghiamo il bollettino postale precompilato da pagarsi entro il … può altresì pagare con addebito bancario permanente inviandoci a mezzo modulo le coordinate bancarie …. ” Lo so che è giusto pagare perché ho consumato corrente, acqua, gas etc. e ,prescindendo dal fatto che è praticamente impossibile controllare gli addebiti, che sono calcolati in fasce di consumo ed orarie, la cosa mi ha sempre dato fastidio. Il sottile dubbio atavico, tutto italiano, di essere stato fregato è latente nel mio cervello, ma non credo di essere il solo a pensarla così. Si può uscire da questa logica booleana perversa: consumi e paghi, riconsumi e ripaghi ? Non si può, senza energia la nostra vita diventa impossibile: no corrente? Allora nessuna illuminazione e come faccio a leggere? Il gelato nel congelatore si squaglia e se il televisore è una natura morta, il computer è addirittura sepolto, il cellulare scarico è inutilizzabile, né riscaldamento né aria condizionata funzionano e allora bofonchia pure, mi dico, ma intanto paga, altrimenti son guai. Il “gentile cliente” si trasforma in un bel lei è “insolvente” pertanto se non paga entro il… con la sovrattassa di mora e le spese di notifica, ci vediamo costretti ad agire per vie legali e bla bla bla.

Eppure ci deve essere un modo per vivere, senza essere costretti a passare sotto le forche caudine della civiltà industriale, ma per quanto pensassi, nessuna soluzione era praticabile, a meno di andare sotto un ponte o nel deserto del Sahara. Un bel giorno fui folgorato, non sulla via di Damasco, ma molto più prosaicamente sul divano di sala, mentre guardavo la televisione: lo spot della Barilla ambientato in un mulino. Ma che stupido sono! ecco la soluzione! Come non averci pensato! è l’uovo di Colombo!

Un mulino fa proprio al mio caso, la ruota, mossa dall’acqua anziché far girare le macine, la potrei collegare ad un alternatore per la corrente alternata, come quella che si usa in casa, ed anche ad una dinamo per produrre corrente continua da poter immagazzinare nelle batterie come scorta.

Illuminazione, riscaldamento e tutti i servizi gratis!!!

Trent’ anni fa non era difficile trovare un mulino in disuso, cominciai la ricerca e ne trovai uno in lucchesia. Era tutto da ristrutturare, ma, cosa essenziale, c’era l’acqua per poter far muovere la ruota ed il prezzo era abbordabile. Feci due conti è calcolai che la potenza, trasmessa dalla ruota, era più che sufficiente per le mie necessità, anzi avrei potuto produrre anche un surplus di corrente da poter vendere.

Che bello! Sarei stato io a mandare le famigerate bollette! La rivincita di una vita. Ritorno soddisfatto e spiego la mia idea in casa. Il mio umore passa rapidamente dalla marcia trionfale dell’Aida alla marcia funebre della 3° sinfonia di Beethoven. Un “niet “, più categorico di quelli che pronunciava l’ambasciatore sovietico all’ Onu, mi arrivò da parte di moglie e figlia e, da come mi guardava, devo supporre anche il niet della cagnetta che, forse, pensava di dover abbandonare il comodo divano dove, abitualmente, faceva la pennichella. Sono quei momenti della vita in cui uno pronuncia famose frasi, che rimarranno nella storia. Va bene dissi, alquanto irritato, ma quando andrò in pensione me lo compro, chi ci vuol venire bene, altrimenti, solo sto meglio. Beh, sono andato in pensione, a parte il fatto che oggi non è più tanto facile trovare dei mulini, mi manca l’entusiasmo e l’energia per cominciare un lavoro così complesso, come la ristrutturazione. Difficilmente la vita ti da due occasioni uguali, occorre prendere la prima al volo.

Una vera messa cattolica


Ho già scritto altrove della conferenza sul “Motu proprio” di Benedetto XVI, tenuta dal rev. Prof. Nicola Bux .
In seguito sono stato contattato dal comitato pisano S. Pio V, che mi chiedevano se avessi gradito presenziare ad una Messa in latino secondo il rito tridentino.
La cosa mi ha un po’ sorpreso e, molto probabilmente, non sarei andato, se non fosse che ne ho parlato con dei vicini.
Una coppia piuttosto anziana, molto religiosa, che larvatamente ha espresso il desiderio di potervi assistere, ma non guidando più, non avrebbero saputo come recarsi in quella chiesa, alquanto distante.
In fondo, pensai, posso far loro un favore e così dissi che li avrei accompagnati volentieri.
Era una chiesa parrocchiale di un piccolo comune in mezzo alla campagna, come ve ne sono tanti in toscana, non di eccelso valore artistico, ma ben tenuta e linda.
Il parroco vedendo tre volti nuovi, è venuto a salutarci e si è intrattenuto con noi per alcuni minuti, era evidente la sua contentezza e cordialità. Muniti di libretto in latino, con a fronte traduzione in italiano, ci siamo accinti ad ascoltare.
Una Messa semplice senza orpelli, senza chitarre e canzoncine, è stato come un tuffo in un passato, ormai remoto, quando piccoletto ci andavo con la mamma. La mia sorpresa più grande è stata sentire, il mio vicino, un ragioniere di 87 anni, che sapeva tutta la Messa in latino a memoria. Eppure doveva essere almeno 40 anni che non ne ascoltava una!
Un omelia semplice e perfettamente aderente al passo del vangelo, nessun “stravagante” riferimento politico e allora mi sono detto: finalmente una vera messa cattolica.
Si può credere o meno, ma, certamente, la messa in latino, al tempo stesso semplice e solenne, ispira di più che un’ omelia politicizzata e con musichette da cabaret.

La vecchietta e la tuta mimetica


Dopo una giornata passata a provare e riprovare assalti di squadra e di plotone, in vista di un’ esercitazione a fuoco, ero stanchissimo, sporco e sudato. Al rientro in caserma non ebbi voglia di cambiarmi e, presa la macchina, andai a casa in tuta mimetica e con l’elmetto, anch’esso mimetizzato.
Davanti alla porta del palazzo mi frugavo nelle tasche in cerca della chiave, non trovandola, mi misi l’elmetto in testa e la cercai con entrambe le mani. Finalmente la trovo ed entro nell’androne,
Era già abbastanza buio e appena fatto un passo dopo la soglia sentii un urlo: “chi c’è lì” e poi “aiuto aiuto”.
Era la signora che abitava al piano sopra il mio, non mi aveva riconosciuto e per tranquillizzarla dissi: Signora sono io Marcello…. nel frattempo accesi la luce e mi tolsi l’elmetto. Ah! sei tu!! Ti pare questa la maniera di andare in giro a spaventare le povere vecchiette come me!! Feci uno sforzo per non ridere e con la faccia più seria possibile, alzando la mano destra: “ Giuro che non lo faccio più!” e soggiunsi ma lei che ci faceva al buio? Caro ragazzo a questa età mi muovo lentamente e la luce delle scale, dopo un po’ si spenge.
A quel tempo non feci caso a queste sue parole, ma oggi dopo quarant’anni, anch’io mi muovo più lentamente.