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martedì 10 marzo 2009

Immensità o infinità?







La sonata al Chiaro di Luna nella superba interpretazione di Arthur Rubinstein.

"Così tra questa immensità s'annega il pensier mio"
Avevo scelto questo titolo per un mio post sulle recenti teorie cosmologiche, poi una sensazione, un vaghissimo ricordo liceale, che c’era qualcosa di particolare in questa poesia, oltre le solite e scontate critiche letterarie. Così ho ricercato i manoscritti originali del Leopardi che qui riporto.
La prima stesura presenta delle correzioni in diversi punti.
La seconda, che dovrebbe essere quella definitiva, presenta una correzione solo sulla parola “immensità” cancellata e sovrascritta con “infinità.























La correzione autografa è ben visibile, sul penultimo endecasillabo in entrambi i manoscritti.Anche i poeti, possono ricredersi, è vero, ma lo strano è che la parola cancellata l’ “immensità” è quella che compare nella versione definitiva della poesia, come si può leggere nei libri. Escludendo un refuso del tipografo, almeno nelle edizioni successive alla prima che era il Nuovo Raccoglitore, deve esserci stato un intervento del poeta all’ultimo minuto. Perché? Non si tratta di metrica , poiché sia infinità sia immensità sono parole quadrisillabe ed ambedue tronche, non si può pensare ad una convenienza lirica: le parole sono entrambe importanti e “suonano”quasi alla stessa maniera. Nello "Zibaldone", sia la parola "infinità" che quella "immensità" compaiono diverse volte e quasi in egual numero, quindi entrambe, sono nel lessico abituale del poeta.
L’infinità e l’immensità, per quanto esprimano un concetto di “molto grande”, non implicano il concetto di infinito, quindi la differenza deve essere sottilissima.La mia personale interpretazione, del tutto opinabile, è che, forse, alla parola “infinità” il poeta da un significato di "molto grande", ma numerico lineare (ho un’infinità di cose da fare nel senso di numerose cose da fare), mentre con immensità intende un concetto spaziale che, Leopardi, ha ritenuto, alla fine, più consono al contesto. Il concetto di infinito, vero e proprio, viene invece, riservato all’Eterno, al tempo,(“le stagioni”), e al “pensier mio”.


Non ero molto entusiasta di questo post, quando ho dell’incertezze non mi sento soddisfatto, anche se scrivo per mio puro sollazzo. Si sono egoista e, non scrivendo per mestiere, posto quello che più mi aggrada e quando mi aggrada, ma non mi piace dire cose inesatte o sbagliate. Ciò premesso, se ho dei dubbi chiedo lumi a chi ritengo ne sappia più di me. Nel campo letterario ed artistico, ho avuto modo di apprezzare un amico di blog, persona veramente preparata e squisita, Josh, con cui ho una corrispondenza sia email sia di commenti sui post; a lui mi sono rivolto per sentire cosa ne pensasse in proposito. Per tutta risposta mi è arrivata una critica completa de ”L’infinito”, con paralleli con lo Zibaldone, nonché interpretazioni alla luce della filosofia leopardiana… potrei scrivere 10 post!!!


Su molte parole e versi abbiamo concordato rapidamente su altre, avendo preparazioni diverse, lui letteraria ed io scientifica, abbiamo discusso a lungo sul significato da attribuire loro, specie su “infinità” ed “immensità”, nel lessico leopardiano.
Sulla parola immensità siamo concordi che il L. intendesse un “infinito spazio -temporale”, che più si adatta ad inglobare tutti i concetti espressi nei versi precedenti, mentre per la parola “infinità”, anche alla luce di quanto scritto nello Zibaldone, io sostenevo che questa parola implicasse un infinito solo lineare:
"Circa le sensazioni che piacciono pel solo indefinito, puoi vedere il mio idillio sull'infinito, e richiamar l'idea di una campagna arditamente declive in guisa che la vista di una certa lontananza non arrivi alla valle; e quella d'un filare d'alberi, il cui fine si perda di vista, o per la lunghezza del filare o perch'esso pure sia posto in declivio,…..
Una fabbrica, una torre ecc. veduta in modo che ella paia innalzarsi sola sopra l'orizzonte, e questo non si veda, produce un contrasto efficacissimo e sublimissimo tra il finito e l'indefinito ecc ecc (Zibaldone, 1430-31, 1 agosto 1821)
Sempre dallo Zibaldone, altri elementi fisici-percettivi che gli scatenano per contrasto l'idea di infinito/indefinito (come lo chiama qui)(Josh) "una fuga di camere o case, cioè una via lunghissima o dirittissima"
Ma forse, una spiegazione della scelta di “immensità”, può essere più semplice:


Josh,tra le altre cose, mi scrive:


“Alla fine, per l'edizione definitiva, Leopardi scelse per il penultimo verso "immensità" e non infinità, anche se momentaneamente aveva corretto così come ci mostri. Si tratta, direi anche io, di un intervento all'ultimo del poeta. Sono entrambe parole quadrisillabe e tronche quindi si esclude, come dici, il motivo metrico, il significato delle due parole sembra simile ma ha sfumature leggermente diverse nel lessico leopardiano. La scelta non è quantistica, né lirica, ma forse in minima parte dovuta ai termini filosofici, e di più direi io per evitare una ripetizione/assonanza. (con il titolo e con l’infinito silenzio di pochi versi sopra. ndr)(non suonano alla stessa maniera, in effetti)”
“Questo idillio sembra più alieno dalla filosofia, ma solo in apparenza. E' più libero di altri componimenti dall'intellettualismo, ma non ha all'origine né l'abbandono mistico, né un atteggiamento solo contemplativo: anche qui è chiaro lo sforzo leopardiano di superare i limiti imposti dalla Natura all'uomo.”

Mi dispiace, dover tralasciare il resto dello scritto di Josh, sicuramente molto interessante (e che mi godrò in privato), ma questo post voleva solo mettere in evidenza quella particolarità del penultimo verso.
Aldilà di ogni considerazione critica, io giudico sempre le opere d’arte in base all’emozione che sanno suscitare in me, indipendentemente dall’autore. Non vi è alcun dubbio che questa poesia mi avvince più di tante altre liriche.

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