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domenica 30 maggio 2010

Le Pitture dei Filostrati

Mi è capitato tra le mani un libro edito nel 1828 con questo titolo “Le pitture dei Filostrati”.
Una rapida ricerca nel mio database neuronico da un risultato insoddisfacente, i Filostrati erano sofisti e l’unica cosa che riuscivo ad associare, sul momento, era la biografia di Apollonio e una datazione indicativa II° III° secolo d.c., ma che avessero dipinto quadri non mi risultava.
Decido di leggere il libro e qui la prima sorpresa: il libro, pur mostrando i segni del tempo, è intonso, non essendo stato rifilato in tipografia, per poterlo leggere le pagine vanno tagliate. Un libro che ha quasi 200 anni e che non è mai stato letto!

Con un po’ di timore di fare danni prendo un tagliacarte e comincio ad aprire le pagine, dopo aver letto una lunga prefazione del curatore della traduzione dal greco, Filippo Mercuri, mi sono reso conto che il titolo del libro, non corrispondeva all’originale  greco che è Eikones ossia Immagini.

Tralascio la discussione su quanti fossero i Filostrati, se 3 o 4, e se le Eikones siano state scritte da uno solo di loro o da due, poche righe anche sull’argomento su dove
queste tavole fossero situate e se fossero esistite realmente.
Eikones è un’opera famosa nella quale si descrivono alcune pitture, su tavola, descrizioni talmente accurate da poterle chiamare “pitture scritte”.
Nel proemio dell’opera, si può leggere che Filostrato si trovava a Napoli, ospite in una villa nel cui porticato erano state incastonate delle pitture su tavola.


Il padrone di casa” … abitava fuori le mura in un sobborgo, che guarda il mare, nel quale era un tal portico rivolto al vento zeffiro costruito, se ben mi ricordo,sopra quattro o cinque solai che accennava al mare tirreno:il quale era vagamente adorno di quelle pietre,che più il lusso commenda, e più di pitture, sendo in quelle incastrate alcune tavole, le quali ha mio credere non senza sollecitudine erano state raccolte; perocchè in esse si ravvisava l’arte cospicua di moltissimi dipintori : ed avendo io di per me stesso già fermo nell’animo di commendare queste pitture con la favella, a ciò viemmaggiormente ancora fui stimolato dal piccolo figlio del mio ospite; che toccava allora il decimo anno bramoso di ascoltare …”

La querelle tra gli studiosi, parte da queste righe: dobbiamo credere alle parole di  Filostrato oppure è tutta una finzione letteraria? Questa casa a Napoli con le sue pitture incastonate nel portico è esistita realmente oppure è opera della fantasia dello scrittore? La descrizione delle pitture è fatta su quadri autentici o sono il prodotto dell’immaginazione di Filostrato? I pareri sono molto discordi.

Il Prof. Stefano De Caro, soprintendente archeologico delle Province di Napoli e caserta in una conferenza del 1999 sulle nature morte parla di Filostrato è da per scontato che il sofista abbia visto veramente la galleria di quadri che descrive nelle Eikones:

”…La conferma che gli antichi usassero effettivamente questo nome [xenia] per la pittura di natura morta ci viene da un passo del retore greco di Lemno, Flavio Filostrato il Vecchio, della fine del II secolo d.C., il quale, descrivendo una galleria di quadri che lui ha ammirato a Napoli e che commenta per un gruppo di suoi giovani condiscepoli, definisce chiaramente come "xenia" due composizioni perdute, la cui descrizione corrisponde esattamente al genere che le pitture pompeiane raffigurano. Una di esse raffigurava, infatti, fichi, noci, pere, ciliegie, uva con miele,
formaggi, e del latte con i vasi. L'altro genere rappresentava una lepre viva e
una lepre morta, un'anatra spiumata, diversi tipi di pane, frutta fresca, castagne e fichi. La testimonianza di Filostrato è preziosa anche perché ci presenta il punto di vista critico di un intellettuale evidentemente informato di cose d'arte, e pure se cade circa un secolo dopo le pitture di Pompei, il suo giudizio potrebbe tranquillamente
applicarsi ad esse, perché, come vedremo, questo genere aveva avuto poche trasformazioni dall'età ellenistica in poi. Quando Filostrato insiste, infatti, sulle qualità realistiche dei dipinti e sulla capacità della pittura di fermare sulla tela la bellezza fuggente del reale confondendo l'arte, la realtà e la sua rappresentazione, la
sua valutazione non è, difatti, distinguibile da quelle delle fonti ellenistiche. Il suo passo è: "Perché non prendi questi frutti che sembrano fuoriuscire dai due cesti? Non sai che se aspetti anche soltanto un poco non li troverai più come sono ora, con la loro trina di rugiada?".

La dott.ressa Letizia Abbondanza della sovrintendenza di Roma nel suo libro”Immagini” (2009) è di parere contrario, infatti scrive “galleria immaginaria”.

“Dei tre o forse quattro Filostrati che vengono ricordati dalla tradizione antica, si
attribuisce al Secondo e Maggiore – vissuto nel finale del II e durante la prima metà del III secolo d.C. –, un testo giustamente famoso, capitale nella storia della letteratura artistica: le Eikones, Icone cioè Immagini, che descrivono una visita guidata, in forma di dialogo tra un sofista e i suoi giovani allievi, a una galleria immaginaria di oltre sessanta quadri, collocata a Napoli. È l’occasione di una strepitosa performance retorica, in cui la parola si propone a confronto vittorioso con
l’immagine. L’opera ha sollecitato interesse di filologi ed emulazione di artisti e alimentato, in Goethe come in numerosi storici e amatori delle arti figurative, l’illusione di poterne in qualche misura risarcire la grande e purtroppo perduta pittura degli antichi.

Facendo una considerazione generale si può dire che ogni opera, per quanto fantastica sia, ha sempre un incipit reale. A mio giudizio, Filostrato ha realmente osservato questi quadri e forse anche a Napoli, ma quasi certamente non erano tutti nei soliti locali e se
diamo per vero che una parte delle Eikones sia stata scritta da un altro Filostrato questa tesi prende consistenza. D’altronde siamo nel neosofismo e quindi l’artificio è sempre latente, l’illusione dalla realtà e la realtà dalle illusioni.

Questi sono, certamente, interessanti risvolti, ma, a mio giudizio, è più importante vedere come le Eikones mettano in scena l'eterno confronto tra parola ed immagine, tanto che anche Goethe ne fu affascinato ed anche numerosi pittori tra cui Moritz von Schwind, le hanno reinterpretate.

Il filosofo Pierre Hadot nota l’importanza delle parole sophisma e apatê, usando la sua terminologia, che possono essere sintetizzate nel termine “artificio”.
Prendendo come paradigma il Narciso (Eikon XXIII) si ha il “sophisma” della fonte e del quadro, ossia l’incapacità di distinguere tra realtà ed illusione.

Una descrizione della pittura di una pittura è l’incipit dell’”Immagine”: ” La fonte dipinge Narciso la pittura dipinge ad un tempo la fonte e Narciso”. Queste le parole
del sofista e dalle quali possiamo dedurre che Filostrato “dipinge” l’immagine che la pittura dipinge dell’immagine di Narciso.

”L’apatê”, ossia l’inganno, perché Filostrato stesso davanti alle figure dei cacciatori crede di vedere non dei personaggi nella loro staticità del dipinto, ma esseri reali in
movimento e, a questo proposito scrive Hadot:” Il discorso di Filostrato aggiunge all’illusione di vedere un quadro, l’illusione dell’eliminazione dell’illusione, l’impressione di partecipare ad un evento che si svolge effettivamente.”

Sophisma più apatê uguale artificio, un artificio eccezionale direi: l’impressione di
partecipare ad un evento attraverso l’immagine scritta di un’immagine illusoria
dipinta in quadro che forse non è mai esistito.











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giovedì 6 maggio 2010

Questo racconto è stato pubblicato dalla collana editoriale Bookland
L’ultimo mutuo soccorso

Anni ’60. Anna, Lina, Enrico e Marcello, quattro liceali all’esame di maturità.

               Dopo cinque anni di duro Liceo arrivò il giorno degli esami finali: la tanto temuta maturità.
               Non era un esame da poco, sei scritti e nove orali ed in più dovevano essere preparati sul programma degli ultimi tre anni, in pratica su tutto quello che avevano studiato.
               In quinta erano rimasti in dodici e tutti molto affiatati, ma i quattro, che sedevano due al primo banco e due al secondo, avevano cementato una solida amicizia, tanto solida, che il professore di lettere affibbiò loro il nomignolo di società del “mutuo soccorso”. Infatti se uno di loro si trovava in difficoltà, su qualche argomento, prontamente scattava,da parte degli altri, un aiuto sotto forma di suggerimento.
             Finite le lezioni, prepararono gli esami insieme, ospitandosi a turno nelle rispettive case e così, per un mese, mentre gli altri erano al mare, si sacrificarono in maniera disumana.
               Lina era, sicuramente, la più dotata del gruppo, una formidabile latinista: la migliore di tutta la scuola. Per fortuna che c’era lei, la versione di latino era un brano ostico, ma con pochi suggerimenti, ben dati, mise tutti in grado di fare una buona traduzione.
            Arrivò il giorno atteso e temuto: quello dell’esposizione dei quadri con i risultati;  con comprensibile timore e con il cuore che pulsava al massimo, si accinsero a leggere la sentenza.
           Un urlo, più di liberazione che di gioia: tutti e quattro promossi! Un ottimo risultato, erano i tempi in cui se zoppicavi in una materia ti rimandavano a settembre e se eri deficitario in tre, ti facevano ripetere l’anno senza tanti complimenti.
           La sera stessa Enrico chiamò Marcello e tutto eccitato gli disse:
          ”Sai, per premio, papà ci offre a tutti una serata alla Bussola, quando c’è Mina, macchina ed autista; telefona a Lina che io chiamo Anna.”
          All’epoca, la Bussola delle Focette in Versilia, era il locale più “in” d’Italia, arrivarci con tanto di macchina con autista ed in abito da sera, era certamente un evento memorabile.
           Lina non aveva il telefono, così Marcello chiamò la zia, che abitava accanto e che faceva la sarta, pregandola di farla venire all’apparecchio.
          “Ciao Lina.” E tutto d’un fiato, disse:”Il papà di Enrico ci offre una serata alla Bussola, quando c’è Mina!” Dopo un attimo di silenzio:
           ”Sai non so se il mio babbo mi ci manda,”
           E soggiunse, un po’ mestamente:”Poi non saprei cosa mettermi.”
           Sarebbe voluto sprofondare e mentalmente si dette dello stupido. Nell’euforia del momento non aveva pensato che la sua famiglia l’aveva fatta studiare con grandi sacrifici e che, comprare un abito da sera con tutti gli accessori, era una spesa che non si sentiva di chiedere in casa.
            In un attimo gli passarono per la mente i cinque anni di liceo, gli esami fatti insieme, gli aiuti che generosamente gli aveva dato e si disse che questa volta il “mutuo soccorso” doveva funzionare anche fuori della scuola: costi quello che costi.
            Senti:”Pensa a convincere il babbo per il resto non ti preoccupare, in qualche maniera faremo.”
            Chiamò Anna, Enrico aveva già messo molto, per cui era una questione che dovevano sbrigare loro due, le spiegò la situazione ed anche lei convenne che Lina doveva venire in tutte le maniere con loro.
            Potrei darle un mio vestito, ma andrebbe rifatto tutto, lei è molto minuta.
            Visto che non ci arrivava da sola, Marcello, scandendo bene il suo cognome, disse:
            ”Nei tuoi negozi avete migliaia di metri di stoffa, non fare la tirchia!”
            Il messaggio era chiarissimo, tanto che rispose tra il risentito e lo scherzoso:”Non vorrai alludere al fatto che sono ebrea vero?”
            “No, solo che sei molto oculata nelle spese… Datti da fare e non lesinare sui centimetri, ricordati che deve essere un abito lungo!”
          In cinque anni non l’aveva mai sentita dire una parolaccia, evidentemente in tutte le cose c’è sempre una prima volta……
           Rimanevano da trovare una collana, la borsetta e le scarpe.
          Per la collana, non c’erano problemi la sorellina di Marcello aveva ereditato dalla nonna alcuni gioielli ed essendo troppo giovane, aveva ampiamente sottovalutato il loro valore e li avrebbe prestati facilmente.
           Aveva anche una borsetta in lamè d’argento, ma a quella teneva moltissimo.
           “Cara sorellina!” “Che cosa vuoi.” Fu la sua sospettosa risposta. “Ecco…mi dovresti fare un favore….dovresti prestare a Lina una collana e …e la tua borsetta da sera.”
            “Ah! per andare alla Bussola?” Bene bene bene, pensò: il caro fratello ha bisogno di me.
            “Sai anch’io dovrei andare ad una festa, ma babbo, da sola, non mi ci manda….se….però mi accompagnassi tu…cambierebbe idea.”
            Non era proprio un ricatto, ma gli assomigliava molto….
             Alla fine giunsero ad un’equa transazione: una parure di perle, un braccialetto d’argento e la borsetta di lamé; in cambio l’avrebbe accompagnata alla festa, sarebbe tornato a riprenderla, pur rassicurando il loro padre che sarebbe rimasto tutto il tempo con lei.
             Ora rimanevano le scarpe. Aveva racimolato qualche migliaia di lire da uno zio per la promozione e decise di sacrificarle in questa operazione. Presa la borsetta andò nel negozio in cui erano soliti servirsi in famiglia, pensando che uno sconto glielo avrebbero fatto.
            “Ciao Marcello.”Lo salutò il proprietario del negozio:”Li vuoi un bel paio di mocassini estivi?….sono appena arrivati.”
            “No voglio un paio di sandali con il tacco alto.” E, tirando fuori la borsetta: ”Di questo colore.” ”Sandali? Borsetta?” E ridendo: “Ma guarda che strano effetto ti hanno fatto gli esami di maturità…. “ Beh gli dovette spiegare per filo e per segno tutta la storia e fu un bene.
           Prese un paio di sandali: “Ecco questi dovrebbero andare bene, sono i più belli che abbia in negozio.” Per essere belli erano belli, anzi bellissimi, ma, avevano un grosso difetto, costavano tre volte quello che Marcello poteva spendere, anche chiedendo uno sconto, erano sempre fuori portata. Un po’ imbarazzato gli disse: “Te li pago una parte subito e una parte un po’ alla volta.” Sul momento rimase in silenzio, fece un bel pacchetto e, mentre glielo consegnava, bofonchiò:”Io a queste condizioni non vendo. Prendi i sandali e vai. Ciao.”
             Era stato molto generoso, il fatto che Marcello, Enrico ed Anna, con le rispettive famiglie, fossero suoi clienti avrà anche influito, ma sicuramente non era stato obbligato a farlo.
            Squillò il telefono e con voce gelida Anna annunciò: “Marcello, ho la stoffa, passami a prendere che la portiamo alla zia di Lina.”
            Il tono non ammetteva repliche, se l’era presa a male per quello che le aveva detto prima.
           Lina e sua zia abitavano nel quartiere livornese chiamato Venezia, la parte più antica della città, un susseguirsi di ponti e canali con i caratteristici scali.
            Negli anni ’60 erano ancora ben visibili i pesanti segni lasciati dall’ultima guerra, molti i palazzi distrutti e quelli danneggiati rattoppati alla meglio. Proprio in uno di questi abitava la famiglia di Lina e, mentre attendevano che sua zia aprisse la porta, Marcello chiese ad Anna di che colore fosse la stoffa. “Turchese.” “Turchese?” Sarà uno scampolo che avevano in negozio, pensò.
            Lei intuì cosa gli passasse per la testa e soggiunse: ”Non dire ad alta voce quello che stai pensando perché, altrimenti, la nostra amicizia finisce qui”.
            Alla vista della stoffa la zia, che facendo la sarta di tessuti se ne intendeva, esclamo:”E’ di seta! Il turchese è il colore di moda!” Mostrandoci una rivista, disse:” Lo faccio uguale a questo, verrà un bellissimo vestito!”
            Marcello non ebbe bisogno di leggere nel pensiero di Anna, quello che gli voleva dire l’aveva ben stampato a chiare lettere sul volto: ”Hai visto, cretino”
            In effetti aveva fatto le cose in grande, un tessuto molto costoso ed aveva, persino, aggiunto una bottiglietta di smalto madreperlato per unghie. Le scuse furono doverose.
           Marcello si attendeva qualcosa dai suoi ma, come al solito gli avrebbero fatto un “inutile” regalo “utile”, questa volta si sbagliò: ricevette una congrua cifra di denaro.
           La sera dell’uscita, in casa di Lina c’era un certo fermento, gli ultimi ritocchi al trucco ed ai capelli, la zia che le sistemava il vestito, un andirivieni di amiche e parenti; tutti avevano qualcosa da dire e da suggerire.
            Finalmente scese, a tutte le finestre del palazzo c’era gente a guardare e a commentare ma, i più bei commenti, in vernacolo livornese, furono quelli della sua nonna:
           “Oh mamma ! com’ è bella la mi’ Lina! E quella macchina è più lunga del filobusse! E poi quei du’ ragazzi vestiti come pinguini der parterre (ndr.lo zoo)…ma un è mi’a ‘arnevale….”
             “Zitta nonna, quello è l’abito da sera per gli uomini….” “Ah, se lo dici tu … “ Rispose non convinta.” Deh!sarà…ma a me mi sembrano pinguini.”
              Anche Enrico aveva fatto le cose in grande: tavolo per quattro in prima fila, proprio vicino al palco, dove si sarebbe esibita Mina.
             Venne il cameriere a prendere le ordinazioni e Marcello, anticipando tutti, con una certa nonchalance ordinò: “Ci porti una bottiglia di champagne e che sia Dom Perignon.” Erano i tempi in cui James Bond furoreggiava in tutti i cinema ed era il mito dei ragazzi di allora.
               Si era appena allontanato il cameriere che i tre in coro gli dissero: “Ma che sei impazzito! Piatti e bicchieri per tutto il resto dell’estate te li lavi da solo!”
              Ragazzi ricapitoliamo il tutto. Abbiamo fatto un’ entrèe hollywoodiana, siamo arrivati con una macchina uguale a quella del presidente della repubblica, con tanto di autista in livrea, voi ragazze siete in abito da sera e noi in smoking, cioè come pinguini per dirla come sua nonna, i paparazzi fuori, non sapendo chi fossimo, nel dubbio ci hanno fatto anche le foto, siamo seduti in prima fila nel locale più famoso d’Italia per ascoltare Mina… e che volevate ordinare? una Coca Cola con quattro cannucce? Il ragionamento non faceva una grinza ma, dovette mostrare loro il portafoglio ben rifornito per tranquillizzarli, poi la voce squillante di Mina riempi di allegria e spensieratezza il locale.
              Fu l’ultimo intervento del ”mutuo soccorso”, dopo pochi mesi la “società” si sciolse tristemente.
              Un male incurabile aveva reciso la giovane vita di Lina e la loro sincera amicizia, offuscando, per sempre, con il dolore, i più bei ricordi di quegli anni giovanili.