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lunedì 29 novembre 2010

1960         
Una parigina a Livorno
Racconto inattuale
pubblicato nell'antologia Le Storie di Ioraccconto Assopiù editore


Gli episodi della vita che oggi sono diventati inattualità persistono nel proprio vissuto come attualità. Un racconto inattuale, un po' antico e sicuramente demodè, che vuol mettere in evidenza la diversità tra fare all'amore e fare sesso, fra accontentarsi e drogarsi, fra il gioire del poco e la noia mortale del tutto scontato.

Ambientato a Livorno con una breve descrizione della città che viene considerata, a torto, dai turisti solo un porto dove imbarcarsi per le isole.Il toponimo è attestato per la prima volta nel 904 come "Livorna", ma la città attuale fu fondata tra la fine del ‘500 e l’inizio del ’600 dai Granduchi di Toscana, Cosimo 1° e Ferdinando 1° dei Medici. Uno sguardo alla città e soprattutto al chilometrico lungomare, vale la pena di darlo.
Malgrado che fossero gli anni del boom economico e della rinascita del dopo guerra l’Italia rimaneva ancora un po’ bigotta e provinciale. Un ragazzo ed una ragazza uscivano da soli la sera soltanto se erano fidanzatissimi, con tanto di anello, e in procinto di sposarsi. Un fidanzamento semiufficiale comportava delle lunghe e noiose serate a “seggiola” in casa dell’amata seduti, nel migliore dei casi su un divano, accanto ai suoi genitori che, guardinghi come dobermann, imponevano di vedere Mike Buongiorno in tv. Tutti gli altri ragazzi si dovevano accontentare di attimi rubati durante le numerose “vasche” pomeridiane in su e giù per le vie del centro e, se andava bene, nella penombra di quelle laterali, scambiare qualche fuggevole bacetto. Per i più fortunati possessori di uno scooter, una corsa in "camporella" con la ragazza. Un po’ di libertà in più al mare in estate che è una stagione sempre troppo corta….
 
      A 18 anni avere una zia, anche se acquisita, francese e di Parigi, non eracosa molto comune, ma la fortuna era che aveva una nipote di 21 anni: Françoise.

      Erano i tempi d’oro della mitica Saint Tropez, della Brigitte Bardot ed associare una ragazza francese all’attrice era quasi scontato.
     Un pomeriggio Françoise arrivo con la sua Citroën 2CV, beh, non era proprio la Bardot ma aveva i capelli biondi e lunghi ed era straniera: tanto bastava per suscitare l’invidia degli amici e per pavoneggiarsi in giro.
Non gli riuscì di convincere suo padre a prestargli la macchina, una fiammante e potente Lancia Flaminia coupè. Il genitore non aveva tutti i torti perché l’aveva visto “gasato a mille” e si era giustamente preoccupato. Con finta non curanza il figlio gli fece notare che la “sua” zia era anche la “di lui” cognata e che si stava sacrificando per portarne in giro la nipote. “Ah! Così ti staresti sacrificando? Raccontala meglio” disse e ridendo gli allungò delle banconote come viatico.
            Dalla Flaminia alla 2CV c’era una bella differenza ma, potenza del denaro appena intascato, pensò che dalla vita non si può avere tutto.

           Così il giorno dopo cominciarono il giro della la città e dei dintorni. Era primavera inoltrata e a bordo della 2CV, con la capotte aperta, era un piacere viaggiare.
          Quando si ha un ospite lo si porta a visitare i luoghi più suggestivi della città e così passarono davanti alla Fortezza Vecchia, che delimita la darsena dell’antico porto mediceo dove oggi sono ormeggiate barche da pesca e da diporto, oltre a quelle della guardia costiera e della finanza.
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           Prospiciente alla banchina si erge il monumento simbolo di Livorno: il monumento ai Quattromori, raffigurante quattro saraceni catturati dal Granduca Ferdinando la cui statua marmorea sovrasta il gruppo bronzeo.
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                   Dopo il cantiere navale inizia il lunghissimo lungomare sul cui percorso si incontrano la terrazza Mascagni, da dove si possono vedere in mezzo al mare le secche della Meloria, le stesse da cui prese il nome la famosa battaglia del 6 agosto 1284 tra le repubbliche marinare di Pisa e Genova, di seguito l’ Accademia Navale, la rotonda di Ardenza e poi, attraversato Antignano, ci si ricongiunge con l’antica strada aurelia.
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           Percorrendo questa strada verso sud e risalendo lungo il Romito, si può vedere una scogliera di pietra color rosa arancio di rara bellezza, dalla quale si accede ad un mare dalla trasparenza cristallina, di colore cangiante, secondo la profondità e secondo l’ora del giorno, dal blu dei punti più profondi al verde di quelli più bassi.
           Vi si incontrano, quello che un tempo furono fortificazioni costiere come, il Castel Boccale, la Torre di Calafuria e il Castel Sonnino. E’ il famoso tratto d’ aurelia dove hanno girato il film “Il sorpasso” con Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant.

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           Sotto il Castel Sonnino, in una fenditura nella costa quasi fosse stata scolpita da un gigantesco unghiolo, si dispiega la cala del Leone.
           Ottimo posto per fare il bagno, quando il mare è calmo e si sa nuotare bene…..
          “Tres tres jolie” esclamò Françoise e con quel francese tipico dei parigini, veloce ed infarcito di parole in argot, che spesso metteva a dura prova il suo accompagnatore, disse:”allons-nous nous plonger dans les vagues.” Per fortuna le vagues, cioè le onde non c’erano, solo un po’ di risacca, ma non c’erano neanche i costumi da bagno. “Le maillot de bain ? il n'est pas nécessaire.”
           La giornata era calda ed invitante ma dover spiegare che l’Italia di quei tempi non era Saint Tropez e che il costume era più che necessario, non fu facile e soprattutto imbarazzante. Fare il bagno nudi su una spiaggia aperta a tutti, come era quella, si rischiava, come minimo, una denuncia per atti osceni in luogo pubblico.
           Si guardarono intorno, in quel momento non c’era nessuno, e decisero di farlo in slip, per quanto fossero succinti, erano sempre meglio di niente, al massimo una reprimenda o una multa. Lui si tuffo tranquillamente e così anche Françoise che non si era resa conto di quanto fosse profonda l’acqua. Non sapeva nuotare e , in quel punto, non si toccava.
           La ragazza, annaspando per la paura, cominciò a bere, lui tornando rapidamente indietro si avvicinò per aiutarla. In preda al panico, gli strinse le mani intorno al collo sospingendolo sott’acqua senza lasciarlo respirare.
           Fortunatamente si ricordò del trucco insegnatogli da sua madre, provetta nuotatrice, ed invece di cercare di riemergere si lasciò andare ancora più giù, Françoise, sentendosi trascinare verso il basso, lasciò la presa. Questa volta, prendendola alle spalle e passandogli il braccio intorno al collo, la trascinò a riva.
          Vedendola così spaurita e dispiaciuta le accarezzò i capelli e sollevandole il mento, la guardò negli occhi dicendo un rassicurante e dolce:”comment ça va?”
          Si sdraiarono sulla sabbia con la radiolina sintonizzata su una stazione per giovani che diffondeva la musica più in voga e, mano nella mano, si asciugarono al sole.
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      Era un giorno feriale ed il ristorante a picco sul mare era tutto per loro. Una posizione incantevole con visuale sulle scogliere dove l’alternanza di luci ed ombre creava effetti emotivamente coinvolgenti. I due ragazzi, pur ammirando lo spettacolo, si guardarono più volte intensamente negli occhi: erano quel tipo di sguardi che sono l’anteprima dell’amore.
    Al ritorno presero la strada che passa alta sul mare attraverso le colline e si fermarono all’ombra dei pini in uno di quei piccoli spazi isolati e tranquilli dove, le coppiette d’ innamorati, potevano scambiarsi le loro effusioni.
         
      All’imbrunire, tornando in città, si fermarono ad ammirare uno spettacolare tramonto, fatto non inconsueto alla terrazza Mascagni. Sono quei tramonti in cui i raggi del sole rifrangendosi nel mare e nell’atmosfera dipingono il cielo e le nubi con effetti cromatici irripetibili e, immancabilmente, riportano alla mente i versi : ” …..l'ora che volge al desìo e ai naviganti intenerisce il core". Ma non solo ai naviganti. 

    Appoggiati alla spalletta prospiciente al mare ed ammirando lo spettacolo che la natura donava, lei, abbracciandolo teneramente, gli dette un bacio, sussurrandogli: “merci, mon amour. Merci beaucoup.”

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giovedì 4 novembre 2010

Un frate, un Re ed una Croce Santa.

                  S. Francesco nel suo peregrinare tra La Verna e Assisi, i luoghi dove il Santo ha vissuto e pregato, percorreva la strada che attraversava il feudo dei conti Lambardi di Mammi, certamente fu ospite nel loro castello, dato che uno dei suoi primi seguaci, fra Mansueto, poi elevato alla gloria degli altari come Beato, apparteneva a questa antichissima famiglia, le cui origini risalgono al 960 d.c.

                La storia di S. Francesco è ben conosciuta, meno nota quella del Beato Mansueto, anche se svolse un ruolo storico importantissimo.
               Questo fraticello fu confessore e consigliere di ben quattro papi, Innocenzo IV, Alessandro IV, Urbano IV e Clemente IV.
              Moltissime le sue missioni politiche, tra le quali, da ricordare, quella presso la ghibellina repubblica di Pisa per riappacificarla con il papato.
                Il 3 maggio 1241 presso l'isola del Giglio (oggi in provincia di Grosseto) c’era stata una battaglia navale contro gli eterni rivali di Genova che si concluse con una pesante sconfitta per i Liguri.
               Oltre alla cattura di numerose galee con tutti gli equipaggi, furono fatti prigionieri anche due cardinali e numerosi vescovi.
              I prelati furono in seguito liberati, ma si ebbe come conseguenza della loro cattura il fallimento del Concilio, che non poté aver luogo, e la città di Pisa venne scomunicata e le furono tolti tutti i privilegi ecclesiastici concessi in passato.
            Tale scomunica fu revocata solo nel 1257 grazie alla mediazione del Beato Mansueto.
              La sua presenza, in missione diplomatica pontificia, è certa anche presso la corte d’ Inghilterra.
              In Francia S.Luigi IX lo volle come confessore e consigliere ed è proprio in questa nazione che inizia il nostro racconto del suo viaggio di ritorno da Parigi al paese natio, Castiglione Fiorentino nella provincia di Arezzo.
              Racconto veritiero nella sostanza, ma non potendo avere notizie certe sul reale svolgimento del viaggio, abbiamo provato a darne una versione, per quanto possibile, in linea con le abitudini e la vita di quei tempi.

Anno 1270. Fra Mansueto alla corte del Re di Francia:

             “Maestà il mio tempo è giunto al termine, vi supplico, lasciatemi tornare, per l’ultima volta, là dove venni alla luce.”

Il Re pensieroso rispose:

             “ Fra Mansueto anche il mio tempo sta per finire.”
            “Se Dio vorrà, dopo aver scontato i nostri peccati, ci ritroveremo nella gloria dei Cieli”
             “Frate, il vostro aiuto per la pace con l’Inghilterra è stato fondamentale e vi sono grato degli innumerevoli servigi che mi avete reso. Vogliate accettare in dono quanto di più caro io abbia, sapete quante difficoltà ho incontrato, in oriente, per avere la reliquia della Croce e la Corona di Spine di nostro Signore: vi faccio dono di un frammento e di una spina, ma il vostro pegno sia di ricordarmi nelle vostre preghiere.” Il re, che aveva fatto costruire la Saint Chapelle per glorificare e dare un’importante dimora alle due reliquie, pensò che avrebbe potuto consegnare al frate il suo dono senza che questo fosse costudito in un degno reliquiario, pertanto dette ordine all’orefice di corte di fondere e cesellare una croce.

La Croce Santa è un reliquiario di argento dorato, abbellito da una filigrana anch’essa d’argento dorato e tempestato di pietre preziose di taglio cabochon, completano le decorazioni gli emaux de plique, gli smalti colorati che contornano la stauroteca e la teca dove sono racchiuse le reliquie della Croce e la Spina della Corona di Cristo.
                     Una lavorazione finissima, un vero capolavoro dell’arte medievale francese e praticamente un oggetto unico nel suo genere.
              Il dono del Re era splendido e di valore, tanto che Mansueto temeva che gli venisse rubato: andare da Parigi a Castiglione, all’epoca era un viaggio impegnativo, pericoloso ed in più il frate era molto stanco e sentiva che le forze lo stavano abbandonando.

                I preparativi per il viaggio durarono una settimana circa, il re mise a disposizione una scorta armata, che accompagnasse Mansueto e gli altri due frati che viaggiavano con lui, fino al confine con il Sacro Romano Impero, oltre al quale le sue milizie non potevano andare.
                La via francigena collegava Canterbury, in Inghilterra, con Roma; non si tratta di una sola strada perché in essa confluiscono più percorsi, come il ramo che proviene da Santiago de Compostela, che dalla Spagna, traversando la Francia si ricollega al tratto originario.
               Il viaggio procedette abbastanza tranquillamente lungo questa via che era molto frequentata dai pellegrini di tutta Europa. Il pellegrino non viaggiava isolato ma in gruppo e portava le insegne del pellegrinaggio: la conchiglia per Santiago de Compostela, la croce per Gerusalemme, la chiave per San Pietro a Roma.
               Inoltre era percorsa da mercanti, per i loro traffici ed usata dagli stati per gli spostamenti dei loro eserciti.
              Accodandosi a questi gruppi i tre frati, nella prima parte del viaggio non ebbero problemi di sorta.
             I guai cominciarono a poca distanza dalla loro meta: all’arrivo nelle terre di Toscana.
            Qui infuriavano guerre di ogni genere: città contro città, e, nello stesso territorio guelfi contro ghibellini in pratica tutti contro tutti.
            Nel 1270 Guido di Montfort diventò vicario generale di Carlo d'Angiò a Firenze e assunse il comando delle truppe della Lega Guelfa composta da soldati a cavallo che erano al soldo di Carlo d'Angiò, di Firenze, di altre città della Toscana e dell'Italia centrale.
           Alla testa di queste truppe, Montfort mosse, insieme a Berardo di Raiano, podestà di Firenze, contro i borghi e le terre toscane di fede ghibellina.
           L'11 maggio 1270 mossero verso l’Alto Valdarno nei territori controllati dai fedeli dell’imperatore, distruggendo antichi castelli e seminando morte tra la popolazione.
           La situazione era caotica ed i signori locali, per di più, avevano al loro comando soldati armati per la difesa dei loro territori, con questa carenza di ordine pubblico, gli assalti ai viaggiatori e ai pellegrini, da parte di briganti, erano accadimenti molto frequenti.
          Trovandosi Castiglione Fiorentino tra Arezzo ed il lago Trasimeno, i nostri frati dovettero attraversare queste zone pericolose ed una sera, non essendo riusciti a raggiungere un convento per trascorrere la notte, cercarono rifugio presso una piccola osteria di campagna.
          Nel sistemare i bagagli il più giovane dei frati si lasciò sfuggire la stoffa nella quale era avvolta la Croce Santa. Fu svelto a rimetterla a posto ma non abbastanza da sfuggire alla vista interessata dell’oste.
         La lucentezza del reliquario e le pietre preziose erano sicuro segno di valore e l’oste pensò di impossessarsene, ma non aveva il coraggio di fare questa ruberia da solo: i frati giovani sembravano robusti e non sarebbe stato facile sopraffarli.
        “ Moglie” Disse l’oste. ”Hai visto che i frati hanno oro e pietre preziose? Che se ne fanno? Servono più a noi”
         La massaia che era timorata di Dio, pensando che quel furto fosse un sacrilegio lo scongiurò di non farlo, ma il marito uscì gridandole:
       ”Se tu se’ grulla io non lo sono!” E andò da alcuni loschi figuri, di sua conoscenza, che certamente l’avrebbero aiutato nell’impresa.
        “ O Ciompi ho da proporti un affare, vien via con me e porta du’ omini.”
         Strada facendo spiegò loro che nella sua locanda c’erano tre frati e che avevano una croce d’oro e pietre preziose. Il piano era semplice:
        “Entrate nella loro stanza mentre dormono e la rubate, poi minacciate anche me così nessuno pensa che sia d’accordo con voi”
         Aspettarono che i frati andassero a dormire e misero in atto il loro piano criminoso. Era buio e la luce tremolante diffusa da una piccola lanterna non permise loro di vedere uno sgabello ed un ladro lo urtò facendo un rumore che rimbombò forte nel silenzio della notte.
         I religiosi si svegliarono di soprassalto, allora il Ciompi, vistosi scoperto, mise un coltello alla gola del fraticello più giovane e disse, rivolto a Mansueto:
        ”Frate dammi la croce d’oro o taglio la gola a questo qui.”
         Inutilmente tentò di dissuaderlo dicendogli che per il furto sacrilego sarebbero stati scomunicati e che la loro anima sarebbe andata all’inferno.
          “Frate! Meno ciance fuori la croce!”
          Il giovane frate pregava Mansueto di non dargliela e urlava: ”E’ colpa mia! E’ colpa mia e la morte è la punizione che mi merito!”
         Fra Mansueto prese la croce e la dette ai banditi, che scapparono via velocemente, urlando all’indirizzo dell’ oste: ”Non cercare di fermarci, non hai visto niente!” E mostrandogli il coltellaccio: ”Altrimenti…..”
           I due giovani frati erano disperati ed invocavano punizioni e flagellazioni, mentre Mansueto era serio e disse loro:
          “Vedrete che domani la ritroveremo.”
           Ed i frati:” Come la ritroveremo?”
          “Abbiate fede le vie della divina provvidenza sono infinite. Pregate figliuoli, per la salvezza della vostra anima.”
           Il giorno successivo partirono ed arrivarono al loro convento, i due più giovani entrarono con la testa bassa e gli occhi bagnati dal pianto per la disperazione, fra Mansueto, al contrario, era tranquillo ed aveva con sé un sacco che, fin dalla partenza, teneva ben stretto e rivoltosi al padre Guardiano:“Fai radunare tutti i frati del convento che devo dar loro una notizia importante.”
            Quando tutti furono riuniti nel refettorio fra Mansueto:
            “Cari fratelli oggi è un giorno di grande gioia per noi tutti e vi invito a pregare e a ringraziare Dio. Porto a voi il prezioso dono del Re di Francia, contenente le reliquie della Santa Croce e di una Spina della Corona di nostro Signore”
            E aprendo il sacco mostrò loro la Croce Santa.
           Tutti si genuflessero e i due fraticelli si chiesero come avesse fatto fra Mansueto a riprendere la Croce Santa, visto che erano rimasti sempre con lui e non avevano notato niente.
          Gridarono al miracolo, ma Mansueto li tacitò subito: ”Figliuoli questo non è un miracolo.”
           Spiegò loro che per tutta la vita aveva girato, tra mille pericoli, l’Italia e l’Europa, per portare a termine, per conto del papato, difficili missioni di mediazioni e di pace, e per questo era diventato molto previdente e prudente.
            “Ricordate che a Parigi era tutto pronto per iniziare il viaggio, ma che io volli ritardare di qualche giorno la partenza? E sapete perché? Aspettavo che mi consegnassero la copia della Croce Santa, che avevo ordinato, identica nella forma ma priva di valore e soprattutto senza le reliquie. Ed è proprio quella che ho dato ai ladri.”

Era l’anno 1270.

             In quell’anno morì S. Luigi IX Re di Francia e da questo anno scompare ogni traccia di fra Mansueto e tutto lascia supporre che sia morto proprio nel 1270. Non sappiamo dove sia sepolto, anche se è lecito supporre che la sua tomba sia da qualche parte in Castiglione Fiorentino, probabilmente in una chiesa.
            Questa morte così anonima per lui, che era stato uno dei primi seguaci di S. Francesco, rientrava nel modo in cui concepiva la vita francescana: osservanza scrupolosa della regola originaria. Un vero frate minore.

            Nel battistero della cattedrale di Arezzo c’è un quadro che raffigura S. Luigi Re di Francia nell’atto di donare la Croce Santa al beato Mansueto nel quadro si può leggere una scritta in latino che riassume brevemente la sua vita di servitore della chiesa, datando al 1270 la sua morte. Il quadro è firmato e datato: L.E.P. 1767. L’acronimo può esplicarsi in “Liborio Ermini Pinxit.”
             Un altro quadro, di epoca leggermente successiva e di autore anonimo, raffigurante il frate mentre ammira la Croce Santa, si trova presso una collezione privata.
            Il Beato Mansueto era molto generoso e volle dividere la reliquia della Croce lignea con i francescani di Prato e della Verna, durante questa operazione una piccola scheggia si separò e fu deciso di donarla alla sua famiglia, questa reliquia si trova oggi in una collezione privata.
           La Croce Santa è costudita gelosamente nella Pinacoteca Comunale di Castiglion Fiorentino, suo paese natale.

Le fotografie sono tratte dal libro"Al tempo del beato Mansueto"autore Paolo Torriti ed edito a cura dell'Istituzione Educativa Castiglionese