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giovedì 6 maggio 2010

Questo racconto è stato pubblicato dalla collana editoriale Bookland
L’ultimo mutuo soccorso

Anni ’60. Anna, Lina, Enrico e Marcello, quattro liceali all’esame di maturità.

               Dopo cinque anni di duro Liceo arrivò il giorno degli esami finali: la tanto temuta maturità.
               Non era un esame da poco, sei scritti e nove orali ed in più dovevano essere preparati sul programma degli ultimi tre anni, in pratica su tutto quello che avevano studiato.
               In quinta erano rimasti in dodici e tutti molto affiatati, ma i quattro, che sedevano due al primo banco e due al secondo, avevano cementato una solida amicizia, tanto solida, che il professore di lettere affibbiò loro il nomignolo di società del “mutuo soccorso”. Infatti se uno di loro si trovava in difficoltà, su qualche argomento, prontamente scattava,da parte degli altri, un aiuto sotto forma di suggerimento.
             Finite le lezioni, prepararono gli esami insieme, ospitandosi a turno nelle rispettive case e così, per un mese, mentre gli altri erano al mare, si sacrificarono in maniera disumana.
               Lina era, sicuramente, la più dotata del gruppo, una formidabile latinista: la migliore di tutta la scuola. Per fortuna che c’era lei, la versione di latino era un brano ostico, ma con pochi suggerimenti, ben dati, mise tutti in grado di fare una buona traduzione.
            Arrivò il giorno atteso e temuto: quello dell’esposizione dei quadri con i risultati;  con comprensibile timore e con il cuore che pulsava al massimo, si accinsero a leggere la sentenza.
           Un urlo, più di liberazione che di gioia: tutti e quattro promossi! Un ottimo risultato, erano i tempi in cui se zoppicavi in una materia ti rimandavano a settembre e se eri deficitario in tre, ti facevano ripetere l’anno senza tanti complimenti.
           La sera stessa Enrico chiamò Marcello e tutto eccitato gli disse:
          ”Sai, per premio, papà ci offre a tutti una serata alla Bussola, quando c’è Mina, macchina ed autista; telefona a Lina che io chiamo Anna.”
          All’epoca, la Bussola delle Focette in Versilia, era il locale più “in” d’Italia, arrivarci con tanto di macchina con autista ed in abito da sera, era certamente un evento memorabile.
           Lina non aveva il telefono, così Marcello chiamò la zia, che abitava accanto e che faceva la sarta, pregandola di farla venire all’apparecchio.
          “Ciao Lina.” E tutto d’un fiato, disse:”Il papà di Enrico ci offre una serata alla Bussola, quando c’è Mina!” Dopo un attimo di silenzio:
           ”Sai non so se il mio babbo mi ci manda,”
           E soggiunse, un po’ mestamente:”Poi non saprei cosa mettermi.”
           Sarebbe voluto sprofondare e mentalmente si dette dello stupido. Nell’euforia del momento non aveva pensato che la sua famiglia l’aveva fatta studiare con grandi sacrifici e che, comprare un abito da sera con tutti gli accessori, era una spesa che non si sentiva di chiedere in casa.
            In un attimo gli passarono per la mente i cinque anni di liceo, gli esami fatti insieme, gli aiuti che generosamente gli aveva dato e si disse che questa volta il “mutuo soccorso” doveva funzionare anche fuori della scuola: costi quello che costi.
            Senti:”Pensa a convincere il babbo per il resto non ti preoccupare, in qualche maniera faremo.”
            Chiamò Anna, Enrico aveva già messo molto, per cui era una questione che dovevano sbrigare loro due, le spiegò la situazione ed anche lei convenne che Lina doveva venire in tutte le maniere con loro.
            Potrei darle un mio vestito, ma andrebbe rifatto tutto, lei è molto minuta.
            Visto che non ci arrivava da sola, Marcello, scandendo bene il suo cognome, disse:
            ”Nei tuoi negozi avete migliaia di metri di stoffa, non fare la tirchia!”
            Il messaggio era chiarissimo, tanto che rispose tra il risentito e lo scherzoso:”Non vorrai alludere al fatto che sono ebrea vero?”
            “No, solo che sei molto oculata nelle spese… Datti da fare e non lesinare sui centimetri, ricordati che deve essere un abito lungo!”
          In cinque anni non l’aveva mai sentita dire una parolaccia, evidentemente in tutte le cose c’è sempre una prima volta……
           Rimanevano da trovare una collana, la borsetta e le scarpe.
          Per la collana, non c’erano problemi la sorellina di Marcello aveva ereditato dalla nonna alcuni gioielli ed essendo troppo giovane, aveva ampiamente sottovalutato il loro valore e li avrebbe prestati facilmente.
           Aveva anche una borsetta in lamè d’argento, ma a quella teneva moltissimo.
           “Cara sorellina!” “Che cosa vuoi.” Fu la sua sospettosa risposta. “Ecco…mi dovresti fare un favore….dovresti prestare a Lina una collana e …e la tua borsetta da sera.”
            “Ah! per andare alla Bussola?” Bene bene bene, pensò: il caro fratello ha bisogno di me.
            “Sai anch’io dovrei andare ad una festa, ma babbo, da sola, non mi ci manda….se….però mi accompagnassi tu…cambierebbe idea.”
            Non era proprio un ricatto, ma gli assomigliava molto….
             Alla fine giunsero ad un’equa transazione: una parure di perle, un braccialetto d’argento e la borsetta di lamé; in cambio l’avrebbe accompagnata alla festa, sarebbe tornato a riprenderla, pur rassicurando il loro padre che sarebbe rimasto tutto il tempo con lei.
             Ora rimanevano le scarpe. Aveva racimolato qualche migliaia di lire da uno zio per la promozione e decise di sacrificarle in questa operazione. Presa la borsetta andò nel negozio in cui erano soliti servirsi in famiglia, pensando che uno sconto glielo avrebbero fatto.
            “Ciao Marcello.”Lo salutò il proprietario del negozio:”Li vuoi un bel paio di mocassini estivi?….sono appena arrivati.”
            “No voglio un paio di sandali con il tacco alto.” E, tirando fuori la borsetta: ”Di questo colore.” ”Sandali? Borsetta?” E ridendo: “Ma guarda che strano effetto ti hanno fatto gli esami di maturità…. “ Beh gli dovette spiegare per filo e per segno tutta la storia e fu un bene.
           Prese un paio di sandali: “Ecco questi dovrebbero andare bene, sono i più belli che abbia in negozio.” Per essere belli erano belli, anzi bellissimi, ma, avevano un grosso difetto, costavano tre volte quello che Marcello poteva spendere, anche chiedendo uno sconto, erano sempre fuori portata. Un po’ imbarazzato gli disse: “Te li pago una parte subito e una parte un po’ alla volta.” Sul momento rimase in silenzio, fece un bel pacchetto e, mentre glielo consegnava, bofonchiò:”Io a queste condizioni non vendo. Prendi i sandali e vai. Ciao.”
             Era stato molto generoso, il fatto che Marcello, Enrico ed Anna, con le rispettive famiglie, fossero suoi clienti avrà anche influito, ma sicuramente non era stato obbligato a farlo.
            Squillò il telefono e con voce gelida Anna annunciò: “Marcello, ho la stoffa, passami a prendere che la portiamo alla zia di Lina.”
            Il tono non ammetteva repliche, se l’era presa a male per quello che le aveva detto prima.
           Lina e sua zia abitavano nel quartiere livornese chiamato Venezia, la parte più antica della città, un susseguirsi di ponti e canali con i caratteristici scali.
            Negli anni ’60 erano ancora ben visibili i pesanti segni lasciati dall’ultima guerra, molti i palazzi distrutti e quelli danneggiati rattoppati alla meglio. Proprio in uno di questi abitava la famiglia di Lina e, mentre attendevano che sua zia aprisse la porta, Marcello chiese ad Anna di che colore fosse la stoffa. “Turchese.” “Turchese?” Sarà uno scampolo che avevano in negozio, pensò.
            Lei intuì cosa gli passasse per la testa e soggiunse: ”Non dire ad alta voce quello che stai pensando perché, altrimenti, la nostra amicizia finisce qui”.
            Alla vista della stoffa la zia, che facendo la sarta di tessuti se ne intendeva, esclamo:”E’ di seta! Il turchese è il colore di moda!” Mostrandoci una rivista, disse:” Lo faccio uguale a questo, verrà un bellissimo vestito!”
            Marcello non ebbe bisogno di leggere nel pensiero di Anna, quello che gli voleva dire l’aveva ben stampato a chiare lettere sul volto: ”Hai visto, cretino”
            In effetti aveva fatto le cose in grande, un tessuto molto costoso ed aveva, persino, aggiunto una bottiglietta di smalto madreperlato per unghie. Le scuse furono doverose.
           Marcello si attendeva qualcosa dai suoi ma, come al solito gli avrebbero fatto un “inutile” regalo “utile”, questa volta si sbagliò: ricevette una congrua cifra di denaro.
           La sera dell’uscita, in casa di Lina c’era un certo fermento, gli ultimi ritocchi al trucco ed ai capelli, la zia che le sistemava il vestito, un andirivieni di amiche e parenti; tutti avevano qualcosa da dire e da suggerire.
            Finalmente scese, a tutte le finestre del palazzo c’era gente a guardare e a commentare ma, i più bei commenti, in vernacolo livornese, furono quelli della sua nonna:
           “Oh mamma ! com’ è bella la mi’ Lina! E quella macchina è più lunga del filobusse! E poi quei du’ ragazzi vestiti come pinguini der parterre (ndr.lo zoo)…ma un è mi’a ‘arnevale….”
             “Zitta nonna, quello è l’abito da sera per gli uomini….” “Ah, se lo dici tu … “ Rispose non convinta.” Deh!sarà…ma a me mi sembrano pinguini.”
              Anche Enrico aveva fatto le cose in grande: tavolo per quattro in prima fila, proprio vicino al palco, dove si sarebbe esibita Mina.
             Venne il cameriere a prendere le ordinazioni e Marcello, anticipando tutti, con una certa nonchalance ordinò: “Ci porti una bottiglia di champagne e che sia Dom Perignon.” Erano i tempi in cui James Bond furoreggiava in tutti i cinema ed era il mito dei ragazzi di allora.
               Si era appena allontanato il cameriere che i tre in coro gli dissero: “Ma che sei impazzito! Piatti e bicchieri per tutto il resto dell’estate te li lavi da solo!”
              Ragazzi ricapitoliamo il tutto. Abbiamo fatto un’ entrèe hollywoodiana, siamo arrivati con una macchina uguale a quella del presidente della repubblica, con tanto di autista in livrea, voi ragazze siete in abito da sera e noi in smoking, cioè come pinguini per dirla come sua nonna, i paparazzi fuori, non sapendo chi fossimo, nel dubbio ci hanno fatto anche le foto, siamo seduti in prima fila nel locale più famoso d’Italia per ascoltare Mina… e che volevate ordinare? una Coca Cola con quattro cannucce? Il ragionamento non faceva una grinza ma, dovette mostrare loro il portafoglio ben rifornito per tranquillizzarli, poi la voce squillante di Mina riempi di allegria e spensieratezza il locale.
              Fu l’ultimo intervento del ”mutuo soccorso”, dopo pochi mesi la “società” si sciolse tristemente.
              Un male incurabile aveva reciso la giovane vita di Lina e la loro sincera amicizia, offuscando, per sempre, con il dolore, i più bei ricordi di quegli anni giovanili.

1 Commenti:

Blogger marshall ha detto...

Vi si può trovare traccia del link di questo racconto in un commento al
Giardino delle Esperidi

25 luglio 2010 alle ore 09:30  

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